Nobel?

di 14 Ottobre 2025

Aggrappati all’estremo filo di speranza, abbiamo accolto il rilascio degli ultimi ostaggi come un indizio della fine del tunnel. La necessaria premessa, non ancora l’innesco dell’indispensabile sistemazione regionale che, come quella in Ucraina, richiede un percorso ben più intricato.

Come per la situazione in Ucraina, anche in Medioriente la situazione umanitaria è stata invocata da Trump come motivazione predominante della funzione di supremo pacificatore che ha rivendicato. La Casa Bianca ha subito lamentato il mancato conferimento del Premio Nobel, affermando che il Presidente “ha il cuore di un umanitario; non vi sarà mai nessuno come lui in grado di muovere le montagne con la sola forza della sua volontà”. Un’iperbole degna del regime nord-coreano, alla quale fatichiamo ad abituarci.  

Il processo di pace nuovamente impostato dovrà ora affrontare i medesimi precari equilibrismi di ogni precedente fallito tentativo negoziale. Il cosiddetto ‘piano Trump’, presentato come un unico pacchetto, è in realtà una ‘lista della spesa’ i cui venti scalini andranno superati uno ad uno, separatamente. Con un interlocutore dichiaratamente terrorista, che dell’eliminazione di Israele ha fatto la sua ragione di esistere. Del quale si pretende un’improbabile resa senza condizioni.

Alquanto prematuro è pertanto ogni riconoscimento a chicchessia. Tanto meno quel Premio Nobel sul quale Trump aveva invece spavaldamente puntato tutte le sue ‘carte’. Diversamente da quelli di ordine scientifico o letterario, quello per la Pace è attribuito non per i risultati ottenuti dal destinatario, bensì per l’impegno profuso nel diffondere l’aspirazione alla pacificazione. Anche se non sempre con successo: Bertha von Suttner, Briand e Kellogg, Arafat, Rabin e Peres, l’ottennero ad esempio rispettivamente alla vigilia della Grande guerra, dell’avvento di Hitler, dell’intifada palestinese! Chiusa parentesi.

Rivolgendosi al Parlamento israeliano, nel solito assurdo atteggiamento trionfalistico e autocelebrativo, prescindendo dalle sue ormai consuete estemporanee divagazioni, Trump ha messo l’accento sull’efficacia della ‘pace attraverso la forza’, sulla incomparabile potenza militare americana, sul decisivo rifornimento di armamenti di ultima generazione ad Israele, sulla lezione impartita all’Iran (con l’uccisione di Sulemaini oltre che con il bombardamento dei siti nucleari); persino sulla modifica della denominazione del Dipartimento della Difesa in ‘della Guerra’. 

Ad Israele, ha peraltro dichiaratamente riconosciuto Gerusalemme come ‘capitale eterna’, la Giudea e Samaria (Cisgiordania) come “patria storica”, e persino concesso la ‘sovranità’ sulle alture del Golan. Nel palese imbarazzo del Presidente Herzog, al quale ha chiesto di concedere a Netanyahu il perdono giudiziario.

Non una parole da parte sua (né per questo di Netanyahu, del Presidente della Knesset o del capo dell’opposizione Lapid) sulla ‘questione palestinese’. Che, bisogna supporre, rimarrà al centro di ogni sviluppo futuro. 

Per il momento, soltanto di cessate il fuoco si tratta. Eppure, nell’irruenza del suo protagonismo, Trump si è intestato l’intera responsabilità di sciogliere il nodo gordiano mediorientale, anche con l’assunzione della presidenza del comitato internazionale teoricamente incaricato di dirigere e supervisionare l’attuazione dei restanti 19 punti del suo ‘piano’. 

Le lusinghe sperticate raccolte a Gerusalemme non gli permetteranno certo di presentarsi come mediatore imparziale. Ma, dopo aver denigrato gli sforzi di Obama, Biden, persino quelli di Kissinger, non era quello il suo intento. Schierandosi invece incondizionatamente a fianco de ‘mio amico Bibi’; il quale ha esaltato “il patto fra le due nostre Terre promesse”.

Il Vertice internazionale poi riunitosi in Egitto è servito alla firma dell’accordo sul cessate il fuoco fra i quattro presunti artefici, Stati Uniti, Qatar, Turchia ed Egitto, che ha lasciato la presidenza d’onore a Trump. Nella sintomatica assenza però di Israele; e dell’Iran, che va invece necessariamente recuperato alle equazioni regionali. La riunione era comunque destinata a sollecitare l’auspicabile più vasto coinvolgimento della comunità internazionale.

Le cerimonie della giornata hanno indotto Trump a dichiarare che “con la nostra assistenza, Israele ha vinto … La guerra è finita… L’armonia regionale è assicurata… All’alba di un nuovo Medioriente… la Terra Santa è in pace per l’eternità”. 

Talleyrand ammoniva che “tutto quel che è eccessivo è insignificante”.

In Medioriente, come anche in Ucraina, rimane indispensabile ‘multilateralizzare’ un processo di pacificazione affidato troppo a lungo alle sole parti più direttamente interessate. Coinvolgendovi gli attori regionali, sotto l’egida non di un presunto demiurgo ma delle stesse Nazioni Unite. 

La situazione rimane pertanto per ora in sospeso.

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