Sollevazione diplomatica

di 30 Luglio 2025

La sollevazione di una quarantina di Ambasciatori italiani in pensione si discosta dalla tradizione della loro professionalità.

In servizio o non, i diplomatici non possono lasciarsi travolgere dalla commozione. Un grido di dolore per la situazione mediorientale può soddisfare le coscienze, non però di per sé incidere sulla gestione, tanto meno sulla comprensione, degli eventi. D’altronde, è al Ministro degli Esteri che l’esortazione degli ex “Farnesina boys” avrebbe dovuto semmai rivolgersi, non, scavalcandolo, alla Presidente del Consiglio. Comunque, senza la pubblicità nociva all’immagine nazionale.

Gli avvenimenti dovrebbero aver ampiamente rivelato che l’intransigenza israeliana corrisponde alla dichiarata accondiscendenza di Trump e alla sostanziale indifferenza dei Paesi arabi. Rispetto alle quali l’Europa, e a maggior ragione l’Italia, non dispongono degli spazi per incidere.

Isolato internazionalmente, istigato da Trump, assente in ogni manifestazione popolare (persino i No-TAV della Val di Susa inalberano la bandiera palestinese!), abbandonato in altri termini a se stesso, Netanyahu ne ha ricavato ulteriori pretesti per far da sé. Apprestandosi ad annettere Gaza e la Cisgiordania. Alimentando il rigurgito antisemita.

Interrompere, sia pure provvisoriamente, ogni contatto fra l’Unione e Israele, come suggerito dai quaranta esperti diplomatici nostrani, ne aggraverebbe pertanto l’intransigenza. Per allentarla, è invece nei confronti di tutti gli attori coinvolti nell’altrimenti inestricabile intrico mediorientale che l’Europa (con l’Italia) dovrebbe adoperarsi: dai paesi arabi circostanti, all’Iran (alla Russia?).

In presenza di due entità nazionali che si escludono a vicenda, la Conferenza sulla soluzione dei ‘due Stati’, svoltasi su iniziativa della Francia e dell’Arabia saudita all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, significativamente disertata dall’America e da Israele, è servita ad esporre il grado di convergenza esistente a livello regionale e internazionale.

Per evitare di continuare ad invertire il rapporto fra causa ed effetto, inappropriato, persino controproducente, va considerato per ora anche il prospettato riconoscimento di uno Stato palestinese la cui esistenza è limitata dalla contrapposizione fra Hamas e Autorità Nazionale. Della quale Israele, spalleggiato dal Qatar, aveva sinora ritenuto di potersi avvalere.

Le ripetute iniziative esterne, dal riconoscimento dell’OLP, nel 1980 a Venezia su iniziativa italiana, alla dichiarazione sui principi di Oslo nel 1993, che valsero il conferimento del Nobel a Rabin, Peres e Arafat, si sono sinora rivelate prive di effetto per la mancata adeguata rispondenza del fronte arabo.

Ciò nonostante, per quanto frustrata e indignata, la diplomazia può ancora e deve continuare ad operare per aprire la strada a generali condizioni di convivenza regionale, e ricucirne la trama vistosamente strappata. Operando però da dietro le quinte, non strappandosi le vesti al proscenio.

E, a proposito di sensibilità diplomatica, che fine ha fatto la questione ucraina? Nella quale, da oltre un triennio, un altro paese che vogliamo ritenere a noi affine sta comportandosi in modo parimenti inaccettabile.

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