Non solo Palestina

di 25 Giugno 2025

La spada di Brenno americana è calata su una scena mediorientale andata fuori controllo dopo che Israele, con l’accondiscendenza se non con l’approvazione di Washington, aveva sinora fatto da sé.

L’ambizione iraniana di dotarsi di un arsenale nucleare, il suo porsi a capo del ‘Fronte della resistenza’ alla presenza di Israele, il suo sostegno alla Siria di Assad, al Libano di Hezbollah, all’estremismo palestinese di Hamas, persino ai ribelli houti della penisola araba, rispondevano apparentemente allo scopo di imporsi come protagonista sulla scena mediorientale dalla quale, non araba e sciita, si era trovata esclusa. 

Il massacro del Sette ottobre ha però finito col mettere la teocrazia iraniana con le spalle al muro.

Ad evitare la spettacolare azione militare intrapresa da colui che si atteggiava a ‘pacificatore-in-capo’ sarebbe quindi forse bastato il recupero del ‘piano d’azione’ siglato nel 2015 dai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, assieme alla Germania e all’Unione europea; che Trump ha sciaguratamente stracciato nella sua prima incarnazione presidenziale. 

Si dovrebbe pertanto ora, non imporre a Teheran la ‘resa incondizionata’ pretesa da Trump, bensì ricollocarla nelle equazioni regionali; indurre inoltre la Russia a distanziarsi dall’Iran, del cui contributo si è avvalsa per la sua ‘operazione speciale’ in Ucraina; e recuperare anche una Cina che si era associata all’accordo del 2015.

L’azione di forza americana potrebbe comunque ora paradossalmente servire ad allentare il groviglio delle altre operazioni militari, in Ucraina oltre che a Gaza.  Attorno alla ‘questione iraniana’ potrebbe infatti giocarsi non soltanto il riassetto della situazione mediorientale cronicamente avvelenata dalla questione palestinese, ma il riordino del più esteso sconvolgimento dell’ordinamento internazionale.

Putin si è infatti sentito con Xi al dichiarato scopo di “mantenere strette comunicazioni per portare pace e stabilità nell’area”; e Xi ha sollecitato “una mediazione della comunità internazionale con un ruolo più incisivo dell’ONU”; aggiungendo che “i grandi paesi che hanno un’influenza speciale sulle parti in confitto devono adoperarsi per allentare la tensione, anziché fare il contrario” (Confucio, aiutaci tu!).

Si dovrebbe in altre parole estrarre il regime iraniano dall’intransigenza nel quale si è rifugiato finora, accordandogli il riconoscimento politico e diplomatico del quale riteneva di poter disporre con lo strumento nucleare. Persuadere inoltre i paesi arabi ad accogliere, al pari di Israele, tale altro presunto ‘corpo estraneo’. Restituire cioè alla ragione la pluralità di coabitanti che ne ha fatto una delle culle della Storia.

Un compito al quale dovrebbe ormai associarsi anche l’Europa che, per iniziativa del solito Macron, aveva appena tentato di mediare, riunendo a Ginevra attorno al Ministro degli esteri iraniano la ‘troika’ franco-britannico-tedesca assieme alla Rappresentante per la politica estera dell’Unione (un formato dal quale l’Italia continua ad estraniarsi).

Nell’ennesima constatazione che, nel Medioriente come in Ucraina, la dissuasione né la persuasione funzionano più, richiedendo invece l’attivazione di ben altri ingranaggi, nazionali ed internazionali.

Ai Vertici della NATO e del Consiglio europeo l’incarico di esprimere le residue possibilità di estrarre il sistema internazionale dal dilemma fra utopia e anarchia. 

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