Trump e Putin, che si continua a ritenere siano depositari delle sorti del mondo, sono nuovamente in contatto diretto. Il tanto atteso ‘reset’ dei reciproci rapporti fatica tuttavia ad innescare il necessario più ampio coinvolgimento continentale.
L’atteggiamento sprezzante del Cremlino verso l’Unione europea non promette bene, evidenziando l’intenzione di utilizzare la questione ucraina al solo scopo di riottenere da Washington il perduto status di superpotenza. Una trappola nella quale Trump, autoproclamatosi pacificatore di portata globale, rischia di farsi trascinare.
Nel contatto telefonico, il possibile ‘do ut des’ si sarebbe infatti esteso al Medioriente, all’Iran. Il presunto tentativo di allontanare la Russia dalla Cina potrebbe piuttosto risolversi nel trattenere l’America in Europa e nel Mediterraneo.
Rimasta apparentemente alla finestra, l’Unione sembra essersi decisa a reagire. A Macron si deve la constatazione di una “morte cerebrale” della NATO, con l’urgente necessità di dotare l’Europa di una “autonomia strategica”. Che non può né deve necessariamente tradursi in termini militari, potendo piuttosto consistere nell’aumentare i suoi interlocutori. Il che rafforzerebbe di riflesso lo stesso collegamento transatlantico, in una situazione strategica radicalmente mutata nelle sue componenti.
La NATO, la stessa Unione europea, non sono infatti più quelle che sono state all’origine. La NATO non deve predisporsi per uno scontro aperto lungo la nuova linea divisoria continentale; né la nuova fisionomia dell’Unione deve necessariamente tradursi in un blocco omogeneo, al pari delle ‘grandi potenze’. Ambedue devono invece attrezzarsi adeguatamente e collegarsi diversamente, per far fronte alla consistenza delle nuove sfide continentali.
Conseguentemente, dall’esterno di quel che l’Unione fatica a costruire dal suo interno, il Premier britannico si è reso promotore di un risveglio europeo. Collegandosi ad una Francia parimenti Membro permanente del Consiglio di Sicurezza, puntando forse anche sul possibile residuo dell’antico ‘rapporto speciale’ con Washington,
La ‘coalizione di volenterosi’ impostata da Londra è rivolta a sfidare l’ostilità del Cremlino ad un contributo europeo alla soluzione della questione ucraina. Uno schieramento militare che svolgerebbe una funzione di persuasione politica, non certo deterrente. ‘Rearm Europe’ consisterebbe primariamente in un ‘riarmo morale’, in risposta alla duplice esigenza di corrispondere alle sollecitazioni di Trump e di dimostrare a Putin la determinazione degli europei nel contrastare il suo tentativo di ‘divide et impera’. Indicando ad ambedue che l’Europa ha bisogno dell’America tanto quanto l’America dell’Europa.
Uno schieramento europeo a garanzia dell’eventuale pacificazione avverrebbe d’altronde con un mandato dell’ONU, il che servirebbe a ristabilire la stessa funzionalità dell’organizzazione universale; alla quale la Russia sarebbe chiamata a corrispondere. Il concorso dei ‘volenterosi’ indicherebbe comunque che non sarebbero più l’Unione europea né la NATO, in quanto tali, a proporsi come interlocutori di Putin (e di Trump), quanto un’aggregazione di Stati europei allargata a Canada, Australia, Nuova Zelanda e Giappone (donde un’estensione alla situazione nell’Indo-Pacifico).
Il più esteso concorso internazionale eviterebbe il perpetuarsi del singolar tenzone fra due superpotenze palesemente appesantite nei loro movimenti. Il che, nella molteplicità di vuoti strategici che affliggono la situazione internazionale, dovrebbe consentire all’Unione di presentarsi credibilmente, e pertanto più incisivamente, sullo sviluppo degli eventi.
La ridotta credibilità della Nato potrebbe persino ritenersi compensata dall’art 42.7 del Trattato di Lisbona che prevede che “qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestarle aiuto con tutti i mezzi in loro possesso”. Un patto di mutuo soccorso non meno impegnativo, anche se non altrettanto deterrente, dell’Art.V dell’Alleanza atlantica.
Il legame transatlantico rimarrebbe assicurato dal sovrastante Trattato di Washington ratificato dal Congresso nel 1949, la cui revoca richiederebbe una maggioranza di due terzi.
Una situazione in movimento, intricata. Rispetto alla quale il governo italiano, precariamente tripartito, continua a balbettare, riluttante a schierarsi, costretto al piccolo cabotaggio; amico di tutti, quindi di nessuno. Illudendosi di fare da ‘ponte’, rimane invece defilato, senza poter incidere sulle decisioni da prendere.
Perdendo di vista che per i paesi dell’Unione europea è di sicurezza, piuttosto che di difesa, che si tratta. Dell’avvio di un percorso politico per il quale l’Unione mette a disposizione le risorse finanziarie, ma la cui credibilità dipende dalla rispondenza dei paesi destinatari.