Cessate!

di 14 Marzo 2025

“La palla è nel campo di Mosca … se diranno di no, sapremo chi ostacola la pace”, aveva affermato il neo-Segretario di Stato americano dopo aver ottenuto la disponibilità di un Zelensky brutalmente ammonito alla Casa Bianca di “non avere le carte”.

La palla è ora tornata a Trump. Che non pare aver nemmeno lui delle carte necessarie per risolvere la questione, come aveva detto, “in ventiquattr’ore”.

Non le ha nemmeno Putin, che si è ovviamente dichiarato disponibile, dichiarando però che rimangono “alcune sfumature” da definire (“vi sono questioni che dobbiamo discutere”). Che sfumature però non sono, dato che non si è discostato dalla sua irremovibilità sugli elementi essenziali:

no al ritiro dai territori conquistati (e, quel che è peggio, proditoriamente annessi ); no al coinvolgimento dell’Unione europea (nel processo negoziale né come ‘garante della pace’); arresto delle forniture militari all’Ucraina e sua neutralizzazione in tutto e per tutto (con il conseguente  venir meno del sostegno americano); alle quali ha persino aggiunto non il ritiro, bensì la resa, delle truppe ucraine nel lembo di territorio russo occupato (in ritorsione, non certo sufficiente moneta di scambio).

Un vae victis scarsamente accettabile, che dimostra il vicolo cieco nel quale si è cacciata una ‘operazione militare speciale’ andata a male. In questi tre anni, il Cremlino si è tagliato ogni ponte alle spalle, precludendosi ogni via di uscita. Qualsiasi passo indietro si presenterebbe, sul piano interno, come una sconfitta delle ragioni addotte per giustificare l’aggressione.

Putin continuerà pertanto a fidare nella forza delle armi e nel progressivo scoramento dello schieramento occidentale.

 Una situazione che non lascia alcuno spazio alla diplomazia, continuando ad ostruire ogni spiraglio negoziale. Una ‘pace giusta e duratura’ esige non soltanto l’arresto delle ostilità (come avvenuto in Corea, in Vietnam e, più vicino a noi, a Cipro), ma la ricomposizione di quella ‘architettura di sicurezza europea’ che Mosca continua ad invocare in astratto, pur avendo rinnegato l’Atto di Helsinki sottoscritto cinquant’anni fa. 

Il fatto è che Putin e Trump non perseguono per il momento che il ‘reset’ del loro antico rapporto bipolare. E che, nel confronto fra due megalomani, non vi è spazio per gli estranei, ucraini ed europei. 

Ogni negoziato, persino ogni vittoria, non devono essere conservativi, statici, bensì innovativi, gettare cioè i semi di un rapporto più stabile e duraturo. In tal senso, Trump e Putin vengono pertanto ambedue messi alla prova.

Da ‘nazione indispensabile’, Trump rischia di ridurre l’America in condizioni di novello Gulliver nella rete altrui.

(Leggere, per credere, l’intervista al pronipote di Leo Tolstoi sul Corriere della Sera del 13 scorso).

Facebook Comments Box

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

« »