Il sipario

di 7 Marzo 2025

Cent’anni fa, Yeats lamentava che “tutto si disgrega/il centro non reggerà”. Ci risiamo.

Dopo trent’anni di fiducioso attendismo, nell’illusione che dopo la caduta del Muro le cose si sarebbero sistemate da sé, che la Storia fosse veramente “finita”, ci rendiamo conto di essere tornati alla casella di partenza del 1945; di Yalta, ma anche dell’ONU.

In Ucraina, non di vittoria né di sconfitta si deve trattare, bensì di ristabilire ‘garanzie di sicurezza’’ che àncorino la ricomposizione dell’ordinamento continentale, e il diritto internazionale. È in tal senso che andrà perseguita una pace ‘giusta e duratura’, non un semplice arresto delle ostilità.

In questi giorni, il sipario si è finalmente alzato, ma non siamo in presenza che del prologo. I personaggi e interpreti non si sono ancora presentati al proscenio. Abbiamo solamente appreso che l’intento del fantasioso scenografo americano è di decidere dello svolgimento dell’azione assieme all’esigente regista russo. La trama rimane pertanto ignota.

Fuor di metafora, nella sua solita estemporaneità condita di falsità, provocazioni e insulti, Trump si è liberato da ogni influenza esterna. Zelenski si è rassegnato alla preponderanza, militare quanto negoziale, dell’America. Mentre, disdegnata da Washington e da Mosca, l’Europa si è affidata al rapporto franco-britannico. 

Francia e Regno Unito dispongono infatti delle ‘carte’ che Trump non ha concesso a Zelenski.  Un binomio in virtù del loro status di membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e potenze nucleari, emerso nell’immediato dopoguerra a Dunkerque come premessa dell’integrazione europea, riesumato nel 1998 a Saint-Malo. Che intendono ora nuovamente esibire ed esercitare.

Dissociatasi dall’Unione, da un anno Londra ha già concluso con Kiev un trattato bilaterale di solidarietà militare. Anche Macron ha appena varcato il suo Rubicone, in una vibrata denuncia delle responsabilità del Cremlino che archivia i ripetuti tentativi di mediazione. Associandosi all’iniziativa britannica di costituire una ‘coalizione di volenterosi’ al di fuori di ogni contesto istituzionale predeterminato, NATO o UE.

Sollevata, l’Unione ha dal canto suo deciso di ‘riarmarsi’ secondo il tradizionale formato intergovernativo, e di continuare a sostenere Kiev “whatever it takes”.

L’Unione europea, lo sappiamo, costituitasi proprio per evitarla, non fa la guerra. Le sue prese di posizione, nelle varie possibili conformazioni, non possono pertanto costituire l’ordine di battaglia di una difesa comune. Devono però proporsi di segnalare la sua determinazione, in una ‘autonomia strategica’ da Washington, in termini tali che la Russia, che dell’Europa fa parte, non possa prescinderne.

Per ora, Mosca rimane però il convitato di pietra, intransigentemente refrattario ad ogni concessione territoriale, ed ostile ad ogni coinvolgimento europeo, che aggirerebbe la pretesa ‘neutralizzazione’ di Kiev. Guardinga persino nel ‘resettare’ i suoi rapporti con Washington, si limita a registrare che “la politica estera americana coincide con la nostra”.

Ogni cedimento alle pretese del Cremlino avrebbe immediate ripercussioni sull’assetto del nostro continente. Anche se, con Trump, la NATO ha perso credibilità, l’Europa occidentale non deve temere una diretta aggressione russa, quanto piuttosto una cascata di intimidazioni e interferenze destabilizzanti, con maggiore intensità nel suo vicinato di non membri dell’Alleanza, in Georgia, Armenia, Moldova, nei Balcani, aree che stanno già sperimentando l’opprimente pressione della Russia.

Una situazione precaria, di pesi e contrappesi, nella quale anche l’Italia dovrà muoversi, senza poter più contare sul duplice binario, europeo e americano, che ne ha determinato il cammino post-bellico. Né potrà continuare a lungo ad illudersi di poter contare sulle Nazioni Unite.

Tanto meno sostenere, come astrattamente afferma il nostro Primo Ministro, che “estendere all’Ucraina l’art V della NATO sarebbe la situazione duratura”.

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