Dopo tre anni di conflitto alle porte di casa nostra nella palese generale impotenza, il velo che mascherava il gioco delle parti è stato squarciato.
L’andamento degli incontri appena svoltisi a Washington e Londra ha infatti chiarito i termini della questione, spazzando via ogni residua reticenza, ambiguità e ipocrisia. Aprendo quindi forse finalmente il campo all’operato della diplomazia che, non potendo prescindere dalla disponibilità dei necessari interlocutori, è stata sinora costretta all’inazione.
Il Presidente ucraino, al quale abbiamo per tre anni affidato il compito dci fare da argine alla prepotenza russa, aveva ottenuto di essere ricevuto dal nuovo Presidente americano in anticipo sulla ripresa dei suoi colloqui con Mosca. Al legittimo scopo di precisare, se non altro, il do ut des fra l’accesso alle terre rare ucraine, ‘passion predominante’ dell’affarista Trump, e le garanzie di sicurezza, che Macron e Starmer gli avevano parimenti appena dichiarato indispensabili ad una pace ‘giusta e duratura’.
Molteplici si sono rivelati i segnali del trattamento che Trump intende riservare all’Ucraina. Indicativo il fatto che Zelenski sia stato accolto come questuante piuttosto che come necessario interlocutore negoziale: all’ospite non è stata concessa l’ospitalità alla Blair House, normalmente riservata ai dignitari stranieri, e il suo abbigliamento ‘militare’ è stato ostentatamente irriso. Impertinente, alla stregua di ‘lesa maestà’, è stata infine considerata la sua domanda su “che genere di diplomazia vi proponete di adottare?”, innescando la teatrale indignazione per il “mancato rispetto” e la ”irriconoscenza”, nell’aver osato tentare di esporre il proprio punto di vista, con l’aggravante di “non volere la pace” e di “non disporre delle carte” da far valere.
È pertanto emerso chiaramente come, per Trump, lo scopo dell’incontro non fosse altro che quello di ottenere la sottomissione di un proprio vassallo. Di sacrificare cioè l’Ucraina allo scopo di fare l’ “America Great Again” mediante un rapporto esclusivo con Putin. Al quale offrire, in altre parole, il reciproco riconoscimento dello status di superpotenza, piuttosto che dedicarsi all’antico ruolo di ‘moltiplicatore di forze’ con gli alleati. Nel ristabilimento delle sfere d’influenza del tempo di Yalta, ma su scala globale: affidando l’Europa alla Russia e riservando l’Estremo oriente all’America.
A spese quindi dell’Europa. Che non può pertanto più eludere il compito di provvedere a contenere le nefaste conseguenze. Curiosamente evocativo è che l’alterco nella Sala Ovale sia avvenuto alla presenza di un busto di Churchill, eroe della solitaria resistenza contro l’aggressione nazista!
Per iniziativa del Premier britannico a seguito della sua missione a Washington, attorno a Zelenski sono subito dopo convenuti a Londra alcuni leader europei e non, premuratisi tutti di esprimergli incondizionata solidarietà. A conferma dell’esistenza di una ’Europa della sicurezza’ opportunamente più estesa dell’arrancante ‘Politica estera e di sicurezza’ a Ventisette. Destinata a compensare l’apparente disfacimento dell’Alleanza atlantica mediante una ‘coalizione dei volenterosi’ che esuli dall’UE quanto dalla NATO, disdegnate tanto da Trump quanto da Putin, da tenere comunque per ora in disparte ad evitare la formazione di blocchi contrapposti.
Rimaniamo per ora tra Scilla e Cariddi. A Mosca, il solito ‘falco’ Medvedev, confermandone l’intransigenza, ha espresso il plauso per ”lo schiaffo somministrato all’insolente maiale”(sic!). A Bruxelles, l’estone Alto rappresentante della politica estera dell’Unione ha detto senza mezzi termini che “il mondo libero ha bisogno di un nuovo leader”.
Compressa fra le opposte posizioni dei suoi due alleati di governo, il nostro Primo Ministro auspica una riunione assembleare fra europei e americani, sotto l’egida dell’ONU. Una soluzione ragionevole che, nelle attuali circostanze, non trova però alcuno spazio.
Razionalmente, dovremmo ritenere che un disastro si stia verificando per lo stesso presunto massimo mediatore e pacificatore. Apprendista stregone, infastidito da ogni condizionamento esterno, privandosi dello strumento diplomatico, potrebbe finire col fare le spese della propria arroganza.
Mentre la diplomazia rimane a disposizione.