L’agenda

di 31 Gennaio 2025

In un mondo senza bussola né regole, le dichiarazioni estemporanee del nuovo inquilino della Casa Bianca paiono rivolte più che altro a suscitare una ‘distrazione di massa’ dalla realtà. Alla quale non intende comunque aderire.

Il che, esonerando i suoi interlocutori dal rivelare le loro intenzioni, lascia nell’oscurità il futuro andamento dell’intero sistema dei rapporti internazionali.

a) Della situazione in Ucraina, aveva detto che l’avrebbe risolta “in un quattro e quattr’otto”. Si è limitato per ora ad incitare Mosca a porre termine a “questa guerra ridicola”. Alquanto dubbio è che riesca a sbrogliarne la matassa, ma il rischio rimane che la sua vanità lo induca ad accettare un incontro qualsiasi con Putin (come fece a suo tempo con il nord-coreano Kim).

Inconsapevole com’è dello scopo primario di un Cremlino alle corde, tanto politicamente quanto sul piano economico e militare, di ottenere dal nuovo Presidente americano un incontro faccia a faccia che possa rievocare una ricomposizione del rapporto bipolare con Washington; a spese, ovviamente, dell’Europa.

Prova ne sia l’affermazione di Nikolai Patrusciov, braccio destro di Putin, secondo il quale “è necessario che i negoziati si svolgano tra Russia e Stati Uniti, senza il coinvolgimento di altri Paesi occidentali … Non abbiamo nulla da discutere con Londra o Bruxelles”. Un’esca alla quale il recidivo Presidente americano parrebbe propenso ad abboccare. 

Il Ministro degli Esteri Lavrov ha d’altronde precisato che “servono accordi affidabili, giuridicamente vincolanti, impossibili da violare”. Diversamente, si dovrebbe ritenere, da quelli di ordine politico, comportamentale, concordati a Yalta, poi a Helsinki cinquant’anni fa, a Budapest dopo la caduta del Muro, e infine a Minsk dopo l’occupazione del Donbass (con Francia e Germania, appunto).

Dissipando ogni possibile residuo dubbio in proposito, l’anziano ideologo Sergey Karaganov conferma che “è necessario allontanare l’Europa dalla soluzione dei problemi mondiali … La pace potrà essere stabilita nel subcontinente [sic] solo quando la spina dorsale dell’Europa sarà nuovamente spezzata”. Sulla medesima lunghezza d’onda l’astro nascente Dmitri Suslov “Non negozieremo con l’Ucraina, ma solo con gli Stati Uniti … qualsiasi opzione di pace in cui un’Ucraina filo-occidentale sopravvivesse deve essere impedita a tutti costi”.

Aggiungendo che “la presenza di truppe straniere sul terreno in Ucraina sarebbe per noi una falsa partenza: non se ne parla nemmeno, che esse siano della NATO o dell’ONU, di Cina o Turchia… Il nostro rifiuto alla presenza di una forza di interposizione non è negoziabile”. Con la precisazione, per chi non l’avesse ancora compreso, che “la linea di contatto attuale deve diventare il nuovo confine di fatto, con l’eccezione della zona di Kursk [guarda caso, occupata da Kiev] … O l’Ucraina accetta le nostre condizioni, o corre il rischio di sparire dalla carta geografica”.

Dmitri Trenin, già direttore della Fondazione Carnegie a Mosca, del quale si erano perse le tracce, tenta di recuperare i favori del Cremlino riassumendo il tutto nei termini seguenti: “per Mosca qualsiasi cosa che non sia una vittoria completa equivarrebbe a una sconfitta”. 

Posizioni di partenza, si dirà, fusibili, la cui tenuta dipenderà appunto dall’atteggiamento di Washington. La nuova amministrazione americana dovrà pur tuttavia rendersi conto che la sicurezza dell’America continua a doversi tutelare anche in Europa, che il legame transatlantico arreca benefici nei due sensi.

(Per quel che riguarda l’Italia, il capo della diplomazia russa ha detto senza mezzi termini che “è difficile immaginare quale ruolo possa avere un Paese che fin dall’inizio dell’operazione speciale è stato all’avanguardia della linea ostile antirussa, e non solo appoggia, ‘a 360 gradi, tanto quanto occorrerà’ come ama dire la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il sanguinario regime neonazista di Kiev, ma presta ad esso un notevole aiuto militare e finanziario … Non consideriamo l’Italia né come eventuale partecipante al processo di pace né tantomeno come difensore dei nostri interessi in Europa, cosa che in queste situazioni suona persino ridicola”. Bisognerà quindi disilluderci sul ruolo di ponte transatlantico che ci sarebbe stato attribuito).

b) Rispetto alla situazione in Medioriente, il decisionismo unilaterale del nuovo aspirante imperatore d’oltreatlantico si è subito espresso assertivamente. Dopo aver gratificato il Principe ereditario saudita del suo primo contatto telefonico, ha inopinatamente proposto il trasferimento dei palestinesi di Gaza in Giordania e in Egitto. Ignorando apparentemente che nel 1967 furono proprio tali due paesi a disfarsi delle loro responsabilità nei territori rispettivamente amministrati in Cisgiordania e Gaza.

Sarà ancora e sempre il Primo Ministro israeliano, in arrivo a Washington, a dover affrontare le ripercussioni del favore riservatogli dal redivivo Presidente americano.  

c) Sul fronte interno il nuovo comandante in capo, fedele alla vincente promessa elettorale, va asserragliandosi nella ‘Fortezza America’, nell’avviare l’espulsione degli immigrati irregolari, predisponendosi inoltre ad innalzare le barriere tariffarie e uno scudo antimissilistico, ad estrema protezione del territorio nazionale. 

d) Una fortezza che, in una riedizione dei Presidenti di un secolo fa, vorrebbe riscrivere la geografia, dal Golfo del Messico al Canale di Panama, alla Groenlandia!

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