Il nostro modo di vedere il mondo è influenzato dai riferimenti culturali.
La notizia improvvisa e lacerante della scomparsa di Vittorio Daniele mi ha fatto ripercorrere i tanti debiti intellettuali che ho verso di lui.
Non sono uno studioso sistematico dei suoi testi ma so quanto lui abbia influenzato i miei.
Nel 2007 con Francesco Cossiga avevo appena promosso il Master in Intelligence all’Università della Calabria quando lessi un articolo sul «Corriere della Sera» in cui era citato un economista calabrese che studiava le dinamiche della criminalità.
Era Vittorio Daniele.
Una notizia singolare, dato che dopo Pino Arlacchi negli atenei della regione non c’erano particolari evidenze di questo impegno. Lo contattai e mi colpì subito la lucidità delle sue opinioni.
Pochi anni dopo, nel 2010, Luca Ricolfi nel libro “Illusioni italiche” faceva riferimento a una sua innovativa ricerca, condotta insieme con Paolo Malanima, in cui si spiegava che al momento dell’Unità d’Italia, non c’era nessuna sostanziale differenza economica tra il Nord e il Sud, che aveva cominciato a manifestarsi solo con l’avvento della sinistra storica. Un dato sottaciuto ma fondamentale.
Come quello in cui evidenziò, anni dopo, che certamente il divario di alfabetizzazione tra le due Italie nel 1860 era rilevante ma gli studenti universitari si trovavano al 66 per cento nel Mezzogiorno e nelle isole.
Non erano analisi dettate dalla nostalgia, ma il risultato di una onesta valutazione delle fonti.
Quando ricoprii il ruolo di Assessore Regionale alla Cultura dal 2010 alla fine del 2014, chiamato dall’esterno da Giuseppe Scopelliti, Vittorio fu uno dei riferimenti principali delle mie politiche in campo culturale ed educativo.
E lo fu in occasione delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, con conferenze, presentazione di libri e nel confronto con gli studenti calabresi a Cosenza, insieme a Ernesto Galli Della Loggia. Anche in quella occasione, confermó di essere un intellettuale di spessore nazionale.
E nel 2013 fummo insieme a Mongiana, dove, 37 anni dopo l’inizio dei lavori,
Inaugurammo il Museo delle ferriere, un simbolo di quello che il Sud e la Calabria potevano essere e non sono stati:
luoghi di produzione e non di assistenza, di lavoro e non di emigrazione.
Sostenne generosamente l’iniziativa pilota a livello nazionale avviata con l’ABI sull’educazione finanziaria, elevando il livello dei giovani studenti della regione.
Ma l’apporto più significativo fu quando mi propose di orientare la programmazione dei fondi sociali europei, concentrandoli il più possibile sull’educazione prescolare.
Facemmo insieme una conferenza stampa a Palazzo Alemanni, la sede della Giunta regionale, nel settembre del 2014. In quell’occasione affermò: “Il capitale umano è quello più prezioso ed investire su quello conduce una società ad uno sviluppo economico fiorente. L’idea della Regione di investire la gran parte dei fondi europei nell’infanzia è vincente perché è nei primi anni di vita che si sviluppano gli elementi cognitivi che influenzeranno una persona per il futuro. Dare a tutti le medesime opportunità scolastiche fin dalla tenera età condurrà ad un’eguaglianza territoriale tale da colmare il divario tra Nord e Sud. Non è un caso che la Calabria abbia solo il 13% di asili nido pubblici, mentre il Friuli copre il 100%. Così come non è un caso che gli studenti friulani siano i primi in tutti i test cognitivi in ogni fase di età”.
Aveva intelligentemente riproposto in chiave politica le teorie del Premio Nobel James Heckman, il quale sostiene che le capacità cognitive che si formano nei primi anni di vita hanno evidenti ricadute economiche
Una visione avanzata, necessaria, utile soprattutto adesso che siamo nel gorgo di una guerra cognitiva e l’intelligenza umana è sotto attacco sia da quella artificiale e sia da Stati e multinazionali che puntano alla conquista delle menti.
Finita quell’esperienza mi è stato costantemente accanto nei miei studi, particolarmente prodigo di stimoli e di consigli.
In special modo, nel ciclo dei seminari organizzati dall’Università della Calabria sulla “Pedagogia meridiana”, in cui si sono confrontati sulla centralità dell’educazione pedagogisti e filosofi, economisti e imprenditori nazionali.
E in quelle occasioni era stupito dall’evanescenza del pensiero pedagogico italiano.
Ha riletto diversi miei testi, consigliando integrazioni e suggerendo prospettive.
In particolare, per “La vera nascita della questione. Le conseguenze sul Meridione della Prima Guerra Mondiale e del Referendum istituzionale”, pubblicato nel 2020 da Grimaldi, in cui proponevo un approccio originale della questione meridionale argomentando che fosse diventata irreversibile dopo il conflitto del 1915-18.
E poi appunto per “Pedagogia Meridiana. Un progetto culturale per il rilancio dell’Italia”, edito da Rubbettino con il quale Vittorio ha sempre pubblicato i suoi lavori scientifici sia da giovane ricercatore che da affermato ricercatore internazionale, diventando una delle firme di punta della casa editrice.
Le sue riflessioni e i suoi stimoli intellettuali, sempre rigorosamente scientifici, sulle teorie di James Coleman il quale spiegava che intervenire solo a scuola senza farlo nei contesti sociali degli studenti produce poco; sui divari territoriali educativi, mai così estesi come in Italia; sull’efficienza delle istituzioni pubbliche legate alla linea dell’equatore; sull’effetto Flynn relativo alla misurazione dell’intelligenza e all’attuale declino cognitivo nella società digitale sono stimoli che affascinano e aprono la mente.
Le riflessioni intellettuali di Vittorio hanno orientato mio pensiero, anche ne “La civiltà occidentale nel dialogo con l’immigrazione islamica. Un’analisi pedagogica della democrazia”, in cui ripropongo le idee di Heckman, da lui adattate in italiano, come possibile strategia educativa da adottare nell’età prescolare per integrare gli immigrati.
Ma in tanti miei testi ci sono citazioni dei suoi libri, perché le sue riflessioni non erano mai banali e scontate, ma profonde e illuminanti.
Di conseguenza, i suoi riferimenti culturali accompagnino costantemente le mie analisi.
La sua sara un’assenza di peso. I suoi punti di vista erano quelli di un intellettuale vero che non aveva paura delle idee, anche di quelle meno politicamente corrette.
Vale per lui quello che Giuseppe Frega, citato da Massimo Veltri, rivolse a Franco Piperno, che è scomparso proprio lo stesso giorno.
L’allora rettore dell’Università della Calabria riammise all’insegnamento con un decreto immediato Piperno rientrato dal Canada, dove era stato latitante, commentando: “l’Università è il luogo del pensiero critico e libero e poi noi in Calabria e nel Sud abbiamo bisogno di persone come lui”.
Vittorio purtroppo adesso non c’è più.
Ma restano le sue idee. Sta a noi, quelli a cui ha voluto bene, coltivarle e farle crescere con cura.
Mario Caligiuri