Dell’internazionalismo

di 30 Dicembre 2024

L’anno che volge al termine, attonito, disorientato, non ha risolto, nemmeno affrontato, le crisi che hanno lacerato l’ordinamento internazionale. Esautorando la diplomazia, che avrebbe dovuto quanto meno contenerle, se non riassorbirle.

È del destino dell’internazionalismo che si tratta. Di quel sistema collaborativo, invece che antagonistico, invocato da un secolo, da quando, durante la stessa Grande guerra, alcuni propugnavano ‘una pace senza vittoria’. Al ‘redde rationem’ imposto alla Germania fu affiancata una ’autorità superiore agli Stati’, che prese il nome di Società delle Nazioni. Un’esigenza confermata vent’anni dopo, quando le Nazioni Unite affidarono a cinque Stati il compito di gestire la ricostruzione di un mondo nuovamente devastato.

Una responsabilità dalla quale l’Unione sovietica subito si dissociò, nella quale la Russia dichiara oggi di non riconoscersi, imputando agli Stati Uniti e all’Unione europea un unilateralismo che altro non è se non il risultato della mancata rispondenza altrui.

Il ritorno al multi-polarismo sovranista ed autoritario, invece che al multilateralismo partecipativo, democratico, lascia largo spazio a comportamenti che non si discostano da quelli dei terroristi, deliberatamente sovversivi dell’ordinamento internazionale.

Nell’eterno gioco dell’oca che affligge l’umanità, incuranti delle lezioni della Storia, è come se fossimo tornati all’ennesimo punto di partenza. Nel quale l’Occidente euro-americano deve decidersi a prendere più risolutamente posizione, a difesa delle proprie aspirazioni ideali e degli interessi concreti della comunità degli Stati. È alle stesse nostre opinioni pubbliche che vanno riproposte le ragioni dell’universalismo, al confronto con quelle del nazionalismo, trincerate dietro un presunto ‘conflitto di civiltà’, dalle implicazioni razziste.

Nel riassestamento dei rapporti internazionali, fra un’America che si ritrae, una Russia che si dissolve, una Cina che per la prima volta nella sua storia si propone come protagonista, l’Europa si rende conto di non poter più astrarsi dal contribuire a fare la Storia.

In Ucraina, deve resistere all’intransigenza di Putin che, invece di consolidarne le pretese, lo emargina ulteriormente dalla società internazionale. In Medioriente, deve adoperarsi per sciogliere l’intrico delle ingerenze iraniane, russe e turche. E verso la Cina, proporsi per attenuarne l’assertività nel suo percorso verso il ruolo internazionale che le compete.

Senza dimenticare i BRICS, nel cui ambito India e Brasile riluttano a schierarsi, potendo invece svolgere un utile ruolo di intermediazione. Nei confronti infine delle situazioni nei Balcani e in Libia che, irrisolte, trascurate, rischiano di rimanere in un precario limbo geo-politico. E dell’America Latina, che l’appena raggiunto accordo con l’Unione dovrebbe contribuire ad allentare le costrizioni del loro rapporto con America e Cina.

Situazioni tutte che richiedono l’attenzione di un’Europa che, auspicabilmente risvegliata dal suo lungo sonno, faccia valere la sua forza persuasiva piuttosto che dissuasiva, l’utilità del proprio modello politico, piuttosto che la sua forza militare. Necessariamente tramite un più equilibrato rapporto strategico con un’America che, con Trump, rischia di non rappresentare più l’obbligato punto di riferimento globale.

Tanto più che il ‘fronte occidentale’ dovrà consolidarsi non mediante il rafforzamento delle sue  alleanze militari, bensì nell’appropriata migliore articolazione fra le sue varie componenti. Non è ad una ‘sicurezza collettiva’, di ordine militare, che ci si potrà comunque più affidare, dovendoci invece dedicare alla costruzione di una ‘sicurezza complessiva’, che ne assorba le molteplici componenti, anche politiche, economiche e sociali.

Se, come qualcuno ha detto, siamo i primitivi in un mondo nuovo, è all’Unione europea che spetta di dimostrare l’auspicabile assetto della post-modernità in cui eminentemente consiste.

Non sarà comunque l’Intelligenza artificiale a trarci d’impaccio, né le auto senza conducente ad assisterci nel percorrere la buona strada.

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