Tolstoj diceva che “la guerra è la cosa più ripugnante della vita; ma bisogna comprenderne la terribile necessità”.
Un tentativo di disciplinarne l’esercizio fu intrapreso da Nicola II (Zar di quella Russia) nel convocare la prima conferenza sul disarmo (la seconda avvenne nel 1907). Inutilmente, come poi si vide, ma l’esigenza continuò essere periodicamente affrontata. Una fatica di Sisifo ancor più impellente con l’avvento dell’arma nucleare.
La guerra è però oggi mutato i suoi connotati, diventando ‘ibrida’, in un mondo tornato all’ABC. Proibendo l’uso stesso del termine, Putin agisce in spregio di ogni accordo, accusando l’intero Occidente di aggressione, minacciandolo di olocausto nucleare. In Medioriente, la Corte di Giustizia dell’ONU imputa crimini di guerra a Netanyahu, menzionando soltanto per inciso un dirigente (presumibilmente ucciso) di Hamas, fazione terrorista considerata peraltro legittimo interlocutore.
Dura lex sed lex, si dirà. Ma le sentenze della Corte internazionale, alla quale d’altronde i ‘grandi’ non aderiscono, hanno valore di ammonimento, esortativo, e devono pertanto tener conto della realtà. Il diritto internazionale può e deve essere invocato ed esortare, ma non può essere imposto. Specie a Putin, che semina morte e distruzione nel ‘paese fratello’, né ad Hamas, che invoca l’espulsione di Israele ‘dal fiume al mare’.
L’esperienza ha dimostrato quanto sia difficile combattere il terrorismo con le sue stesse armi. Inoltre, se l’Occidente è più sensibile alle violazioni del diritto internazionale di cui rimane il promotore, si fatica a riconoscere la legittimità del ricorso ai medesimi strumenti di chi, come il terrorismo e i suoi sostenitori, lo viola deliberatamente.
Un compito da affidare alla politica e alla diplomazia, al giorno d’oggi alquanto mortificate. Nel necessario ristabilimento di un fronte comune per indirizzarne l’incedere.
Al quale una Russia, indispensabile interlocutore, rifiuta ostentatamente di partecipare.