Ci sono dei momenti, nella storia dell’umanità, in cui si volta pagina. Dei rivoluzionari francesi, Tocqueville diceva però che “hanno preso tutte le precauzioni per non trasferire nulla del passato nella loro nuova condizione,… per determinarsi diversamente dai loro padri”.
Tempi duri anche questi, da molti punti di vista, dei quali i duri ritengono di potersi avvantaggiare, sdegnando ogni compromesso, indifferenti al consenso. Un comportamento che accomuna ormai i tre principali attori internazionali. Comprimendo gli spazi di manovra per la diplomazia, che dell’Unione europea rappresenta l’unico strumento disponibile.
Foreign Affairs definisce ‘realismo magico’ l’atteggiamento di Trump, illogico, surreale, mosso dal predominante proposito di liberarsi delle vicissitudini finanziarie e penali che lo assediano (il copyright è italiano). Pur distinguendosi dal comportamento di Putin e Xi, si rivela però parimenti sovversivo nella misura in cui, dissociandosi dal rapporto transatlantico, accentua lo slittamento delle democrazie occidentali verso formule illiberali.
L’elezione presidenziale ha svelato che gli Stati Uniti sono diventati più europei, meno americani. Nel senso che dall’Europa il nazionalismo, il populismo, la disinformazione, oltre alla ribellione contro la classe dirigente, lo ‘stato profondo’, si sono diffusi oltreatlantico.
Corrispondentemente, nelle società europee si assiste al diffondersi del ‘presidenzialismo’, dotato di pieni poteri, corredato dalla selezione di propri ‘famigli’ dall’organica lealtà al capo, inceppando i meccanismi democratici ed irrigidendo il confronto con le autocrazie di stampo orientale.
L’isolazionismo e conseguente neutralismo proclamati da Trump, nel rinnegare la funzione catartica svolta dall’eccezionalismo americano in questo dopoguerra, ne denota l’affaticamento. E’ sull’Europa che si riverserebbe pertanto il compito di evitare che si aprano spazi alle mire di quanti, come Putin e di Xi, si propongono di disgregare il sistema internazionale vigente.
Ad evitare che, piuttosto che a un balzo in avanti, risolutivo, si assista ad un ritorno al passato, a quella contrapposizione di autoritarismi che credevamo sepolta sotto le macerie del Muro. A quel ‘multi-polarismo’ fra pachidermi che riproporrebbe gli antichi, sempre precari, rapporti di forza. Che un protezionismo che rinnega la libertà dei commerci, e un relativismo che disconosce l’universalità dei diritti umani fondamentali, non appaiono in grado di arginare. Sui quali incide peraltro oggi lo strapotere dei giganti transnazionali, comunicativi, finanziari e tecnologici, che erodono la credibilità e conseguente autorità degli Stati.
Va peraltro tenuto presente che, al dissiparsi della presunzione occidentale di poter indicare la strada da percorrere (il ‘tramonto dell’Occidente’ di Spengler), con la conseguente indifferenza alle sorti del mondo (l’indisponibilità, prima europea ora americana, a ‘fare la guerra’), si è ora affiancata la trasformazione dell’incubo nucleare da fattore di dissuasione in strumento di intimidazione.
Fattori tutti che contribuiscono ad ostacolare l’affermarsi di quel minimo comune denominatore che consentirebbe alla diplomazia, e al ‘mini-multilateralismo’ congenito all’Europa, di incidere efficacemente.