È stato detto che “resterà sempre uno dei più riusciti scherzi della democrazia il fatto che essa stessa abbia fornito ai suoi nemici gli strumenti con cui annientarla”.
Il ritorno di Trump conferma lo stato confusionale in cui è precipitata, manifestamente esausta, la nazione leader del mondo libero. Contaminata dalla deriva nazional-populista che in Europa ha illustri precedenti, da Berlusconi a Johnson, a Orban. Esasperata dall’atteggiamento divisivo, provocatoriamente sovversivo, adottato da Trump.
Un risultato che gli ingranaggi federali americani hanno favorito, ma che questa volta, diversamente dal passato, è corroborato dalla maggioranza del suffragio popolare e dalla conquista del Senato. Blindando il nuovo quadriennio di Trump.
Un’America che si ritrae, ma si spacca, con i puri e duri del Midwest e del Sud contrapposti ai cosmopoliti del New England e del Pacifico. A conferma, si dovrebbe ritenere, di antichi risentimenti mai superati. Che le crescenti ondate immigratorie dei diseredati della terra hanno finito coll’esasperare. A danno di quell’esperimento che i Padri fondatori vollero istituire.
Le istituzioni federali sono state fragilizzate dalla prolungata polarizzazione politica istigata da Trump. La sua evocazione di un ‘nemico interno’ continuerà a dividere una nazione che del consenso democratico aveva fatto il suo fondamento. Indicativo è peraltro che il mondo della finanza e dell’industria tecnologica si sia schierato con Trump, mentre le celebrità dello spettacolo, dal quale Trump è emerso, abbia inutilmente sostenuto la Harris.
In disparte è rimasta la politica sociale, comprendente la sanità, l’istruzione, l’edilizia, le infrastrutture, che nel Partito democratico tradizionalmente si riconosce. I ‘forgotten people’ ai quali Trump si è rivolto gli hanno accordato i pieni poteri. E’ a loro, piuttosto che alla grande industria, che dovrà ora rivolgersi nel tradurre le sue rodomontate in iniziative rivolte a propiziare la riconciliazione nazionale.
Se si può ritenere che in politica interna gli Stati Uniti dispongono di utili anticorpi, è in politica estera che l’atteggiamento di Trump inciderà maggiormente, a metà strada fra un unilateralismo assertivo e un neutralismo indifferente alle condizioni del mondo; conditi da un protezionismo commerciale. Se non altro per il fatto che l’America continua a costituirne il cardine rispetto al quale gli altri attori commisurano il loro comportamento. Per il resto del mondo, europeo, russo, mediorientale, asiatico, sarà di nuovo arduo decifrarne le intenzioni.
Il fatto che nulla di catastrofico sia accaduto durante il precedente turno di presidenza trumpiano non cancella gli effetti difficilmente rimediabili dell’assenza di una strategia riconoscibile, il che ha incoraggiato Putin ma anche Netanyahu, ad approfittarne. Con i risultati poi verificatisi in Ucraina e Medioriente ai quali bisogna ora provvedere.
Nell’immediato dopoguerra, il perspicace ‘giallista’ Simenon diceva: “E’ innegabile che in America non insistano molto su quel che noi chiamiamo gli studi umanistici. Perché gli studi umanistici tendono ad instillare il dubbio nella mente delle persone. E invece non bisogna dubitare di niente; il brav’uomo ha bisogno di poche e semplici verità, che siano verità in tutto e per tutto. Le assimila e non le rimette più in discussione”.
Un’America che pare volersi ripiegare nostalgicamente sulle sue origini. Che interroga l’Europa.