La decapitazione della dirigenza delle milizie terroriste a Gaza e in Libano ha esposto le responsabilità dell’Iran, quale residuo dichiarato oppositore dell’esistenza di Israele, nel persistente obiettivo di affermarsi quale indispensabile interlocutore regionale.
Un esito di cui si avvantaggiano gli stessi paesi arabi, che al terrorismo paiono aver voltato le spalle, alleggerendo conseguentemente anche gli Stati Uniti delle loro responsabilità.
Il terrorismo non può considerarsi debellato, in Medioriente come altrove. Ma, sgombrato il campo da certe connivenze trasversali, si è forse aperto lo spazio per l’impiego di strumenti e metodi diversi da quelli militari, la deterrenza cioè e la diplomazia.
Un risultato che non potrà tuttavia essere raggiunto che con la ricomposizione del sistema internazionale, del cui disfacimento il terrorismo è appunto causa e conseguenza, accudita dal concorso della comunità delle nazioni (Unite, appunto). necessariamente anche mediante la normalizzazione delle situazioni interne in Libano, Siria, Irak. Nei cui ambito l’Europa parrebbe avere finalmente l’occasione per affermarsi con maggior determinazione.
Un’Europa che deve ancora prendere coscienza che anche noi siamo Israele. Oltre al fatto che il suo destino coincide con quello delle comunità cristiane orientali da troppo tempo sottoposte ad una pulizia etnica, lo dimostra la constatazione che gli strali dei nostri benpensanti si rivolgono ad un Israele considerato membro della famiglia europea, non ai palestinesi o ai paesi arabi.
Si tratta quindi della prova del nove della residua capacità occidentale di continuare ad imprimere la direzione della Storia rispetto a quanti, strumentalizzati da Mosca, ritengono di poter trarre vantaggio del dissesto internazionale.
Analoghe considerazioni andrebbero pertanto rivolte alla Russia, che consideriamo membro della nostra famiglia, pretendendone un comportamento conforme a quell’Atto finale sulla sicurezza europea cui Mosca aderì nel 1975 ad Helsinki.