Il tanto atteso dibattito televisivo fra i due candidati alla Presidenza americana non è servito a chiarire l’atmosfera elettorale. Non vi è stato alcun contraddittorio significativo, né poteva essere altrimenti.
Per l’incapacità dell’uno di articolare un ragionamento compiuto e la (conseguente?) riluttanza dall’altra a precisare il proprio programma. Ne è risultata una discussione disordinata, sconclusionata, dall’ancora incalcolabile effetto elettorale.
Il tema immigratorio è prevedibilmente riemerso come ‘basso continuo’ delle argomentazioni di Trump; la determinazione nel guardare avanti invece di recriminare sul passato in quelle della Harris. Inaspettatamente, in un’America che va ritraendosi dall’agone internazionale, sono stati i temi di politica estera ad appassionare i due interlocutori, mentre quelli socio-economici non hanno suscitato che uno scambio di slogan.
A parte le sue solite affermazioni assurde (gli immigrati si ciberebbero dei cani e gatti dei loro vicini!, l’aborto verrebbe inflitto anche a bambini appena nati!), Trump si è confermato incapace di esprimere un ragionamento compiuto. Un istrionismo che non ha prevalso sul banale buon senso della sua nuova avversaria.
Rimane da vedere se un elettorato radicalmente diviso (e gli indecisi propensi ad astenersi) sarà influenzato dall’esibizione dei due contendenti. Una prova del nove che non contraddistingue soltanto l’America.
Confrontate a prospettive future difficilmente decifrabili, le società democratiche, sia pure in forme diverse, sono oggi tutte affette da un disagio pervasivo, che gli schieramenti politici tradizionali non appaiono più in grado di riassorbire. Con effetti che incidono sugli stessi equilibri internazionali.
Un malessere che trova la comune valvola di sfogo nella questione immigratoria, securitaria anch’essa, che oscura però quella di ordine militare riapparsa alle nostre frontiere. A danno di quella visione complessiva, ‘ecologica’ si dovrebbe dire, in analogia con le condizioni climatiche.
Per decenni, ci siamo cullati nell’illusione di una stabilità garantita da una ‘guerra fredda’ astrattamente minacciosa, ma in realtà statica, poco coinvolgente per opinioni pubbliche soddisfatte da una prosperità crescente. Con il crollo del Muro, abbiamo continuato ad illuderci che i ‘dividendi della pace’ si sarebbero moltiplicati e diffusi spontaneamente.
Lasciando ampi spazi vuoti alle scorribande dei populisti, indifferentemente di destra e di sinistra.
Con le ripercussioni elettorali che abbiamo constatato in Francia, in Germania, nel Regno Unito, oltre che in America. Evidenti in Italia persino all’interno dello schieramento di governo, dove i pro-putinisti e pro-palestinesi coabitano malamente con gli atlantisti e gli europeisti.
Nonostante tutto però, la Germania, federale, tiene; la Francia, presidenziale, regge. Incurabilmente settaria, l’Italia, tenuta sinora assieme dal duplice collegamento post-bellico con l’Europa e con l’America, rischia invece il contatto con il mondo esterno.
Perdendosi in indecorose beghe da cortile.