L’Amerika

di 22 Luglio 2024

L’attentato a Trump e la desistenza di Biden hanno aperto un nuovo scenario nella campagna elettorale americana. In una nazione che continua a costituire l’indispensabile perno internazionale, ma si rende ormai conto di dover far anch’essa i conti con sé stessa. 

Nella ‘terra incognita’ che stiamo tutti percorrendo, l’esito elettorale americano dovrebbe comunque dissipare le tante ambiguità accumulatesi col tempo.

Per molti aspetti, si dovrebbe ritenere che gli Stati Uniti siano diventati una nazione occidentale normale, non più ‘eccezionale’, esemplare. Specularmente, sia pur non esattamente tanto nella sostanza quanto nella forma, a quanto va accadendo in quel Vecchio continente dal quale si era originariamente distinta. Al pari dei populisti che imperversano da questa parte dell’Atlantico, diversamente da Biden che ha tentato di tener ferma la barra, Trump dà infatti voce a slogan e prese di posizione sovraniste e protezionistiche, condite da denigrazioni dell’avversario, che confondono quel pubblico dibattito democratico che sarebbe invece necessario in questa fase di generale transizione.

Una degenerazione che parte da lontano, da quando la globalizzazione delle comunicazioni e degli scambi ha trasformato l’insieme delle società ’libere’ e liberali da manufatturiere a produttrici di servizi, incidendo pesantemente sui livelli e le condizioni di occupazione. Ne è risultato, anche in America, un sordo risentimento sociale che si è andato col tempo esasperando. Con l’irritante aggiuntivo di flussi immigratori difficilmente contenibili.

Le più recenti amministrazioni americane sono state quindi tutte indotte a dedicare maggior attenzione alle condizioni economico-sociali interne, riducendo l’eccessiva esposizione esterna divenuta fonte di cocenti delusioni. Con l’implicito abbandono della ‘missione civilizzatrice’ intrapresa da un secolo.

Il passo indietro di Biden, per ovvii motivi di salute, rimuove un ostacolo alla retta comprensione della posta elettorale in gioco. La sua amministrazione ha avuto l’indiscutibile merito di sviluppare le coalizioni di cui un’America non più ‘unilateralista’ deve necessariamente avvalersi. L’eventuale ritorno di Trump, dopo la sua precedente versione che aveva stracciato l’accordo con l’Iran, aizzato Israele, sfidato la Cina, sdoganato la Corea del Nord, potrà invece produrre ulteriori lesioni al sistema internazionale. Né si vede come senza il concorso degli ucraini e degli europei potrà, come dice, risolvere la questione ucraina.

L’atteggiamento di Trump non differisce da quello di Putin, di Xi, di quanti ritengono che la politica sia ancora e sempre basata sui rapporti di forza, transattiva, bilaterale, mentre richiederebbe il recupero di quel comune denominatore che, da Westfalia nel Seicento ad Helsinki cinquant’anni fa, ha ricorrentemente sollecitato la convivenza internazionale. Che Biden si è adoperato per riattivare, riuscendovi in buona parte.

Mentre le autocrazie russa e cinese ritengono di potersi permettere di attendere ‘sulla riva del fiume’, approfittando della confusione che continueranno ad alimentare nel campo avverso, non si può escludere, da qui a novembre, un qualche effetto catartico in una nazione che deve recuperare la coscienza della propria specifica identità.

La democrazia, si sa, è sistema sofisticato, e pertanto vulnerabile a quel che Kant definiva “la gran folla di chi non pensa”. Tocqueville scoprì però che, a differenza dell’europea, quella americana poggia sull’associazionismo: alimentata dal basso, dipende dalla costante aggregazione del consenso popolare. La sua struttura costituzionale, privilegiando le prerogative degli Stati rispetto al Governo centrale, pur soggetta a ricorrenti sbandamenti, dovrebbe assicurare il loro costante riequilibrio. 

Evidente è comunque la sopravvenuta necessità di un risveglio degli europei. Non tanto in qualità di alleati, ma in funzione complementare degli Stati Uniti che non intendono più esporsi oltremisura sulla scena mondiale.

P.S. La cronica ‘equidistanza’ italiana, sbandierata come ‘equivicinanza’, non può più funzionare. Lasciandoci invece in mezzo al guado, incomprensibili ed ininfluenti, pur pretendendo in Europa gli ‘incarichi di rilievo’ che riteniamo dover spettare ad un paese fondatore dell’Unione!
Le pagelle si danno ormai a Bruxelles, dove oggi più che mai dovrà decidersi del suo futuro di attore internazionale. L’Italia non può continuare ad astenersi, tanto meno votare contro.

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