La situazione in Ucraina ha confermato la persistente utilità della NATO. Tanto per un’Europa che tarda a riappropriarsi di un suo specifico ruolo internazionale, quanto per l’America che, ritraendosi dalla sua pluridecennale sovraesposizione, confida nelle coalizioni di cui dispone.
Alla caduta del Muro, nel generale disorientamento, Washington ritenne di potersene avvalere per incanalare il processo di transizione. Fino a che, smentendo le convergenti intenzioni di Gorbaciov, Putin ha considerato non esaurito il confronto con l’Occidente, rovesciandone strumentalmente l’ordine dei fattori.
Durante la Guerra fredda la deterrenza, di ordine militare, non poteva che essere affidata all’America, rendendo il rapporto transatlantico necessariamente asimmetrico. Al giorno d’oggi, in risposta ad una Russia ridimensionata ma ugualmente aggressiva, è la solidarietà politica europea ad essere chiamata in causa.
Il vertice celebrativo del settantacinquesimo anniversario dell’Alleanza ha ribadito le sue preoccupazioni e intenzioni, confermando i termini del proprio impegno, dichiarando ‘irreversibile’ il percorso di adesione dell’Ucraina, incolpando la Russia, ammonendo la Cina, senza peraltro modificare il proprio atteggiamento.
Evidenziando piuttosto la funzione coagulante dell’Alleanza, cioè del perno americano, nel coordinare l’impegno dei suoi membri esortati ad esporsi bilateralmente con Kiev, e nell’estendere la rete di rapporti strategici con i partner asiatici e australi. Tollerando i ‘giri di valzer’ di Orban e Erdogan, irritanti ma palesemente ininfluenti sull’assertività di Russia e Cina.
È il legame politico dell’Alleanza che è stato evidenziato, piuttosto che lo strumento militare integrato della NATO. Tenendo peraltro presente che l’eventuale arrivo di un diverso occupante alla Casa Bianca non potrà di per sé far venir meno l’impegno preso con il Trattato di Washington del 1949, che la ratifica del Congresso rese vincolante. Tenendo tuttavia presente che, come scrive l’Economist, “il protettore americano non vuole rimanere intrappolato, mentre il protetto teme di essere abbandonato”.
L’interesse della stessa America che va tirando i remi in barca comporta pertanto l’esigenza di un rapporto più equilibrato se non paritario, politico più che militare, fra le due sponde dell’Atlantico. Donde la necessità per l’Unione europea di esplicitare e mettere in atto le proprie intenzioni strategiche.
Alla nuova squadra dirigente a Bruxelles spetterà il compito di consolidare il comportamento europeo, allineato finora a Washington, che i ‘giri di valzer’ ungheresi e turchi, e le esitazioni di altri partner, stanno mettendo alla prova.
L’affidabilità dell’Italia non verrà quindi decretata a Washington, nei cui confronti continuiamo a professare piena sintonia, ma andrà certificata a Bruxelles. Nel confermare gli impegni presi anche in quella sede, in materia di difesa dell’Ucraina, di resistenza alle infiltrazioni cinesi, di entità del bilancio della difesa.
Argomenti rispetto ai quali la solidità della coalizione di governo manifesta invece vistose crepe.