Le parole sono pietre 

di 27 Maggio 2024

Arduo è valutare non soltanto l’efficacia ma la stessa legittimità della giustizia, quando il suo rigore non è sorretto dall’insieme della situazione di fatto. La guerra d’altronde, diceva il patriarca del diritto romano Marco Tullio Cicerone, sospende la legge.

Come selezionare i regimi dei quali sanzionare le responsabilità? Come assicurare una parità di trattamento, senza che considerazioni politiche interferiscano con l’equità? Come imputare parimenti Netanyahu e i leader di Hamas, senza aver preso in considerazione l’iraniano Raisi? O Putin? 

La sentenza della Corte di Giustizia dell’ONU, che accusa Israele di “genocidio tendenziale’, quella della Corte Penale Internazionale nei confronti di governanti israeliani e di Hamas, che fa appello alle esigenze umanitarie, (la stessa condanna di Putin, limitata peraltro alla sola questione della deportazione di bambini ucraini), paiono rivolte a correggere l’imputazione di riservare la loro attenzione ai casi africani ai quali si erano sinora principalmente dedicate. 

Per anni molti hanno detto che la Corte di Giustizia dell’ONU, la Corte Penale Internazionale (così come il Tribunale di Norimberga, loro capostipite) sarebbero gli strumenti dei quali l’Occidente si avvale per imporre il proprio metro di giudizio. Un atteggiamento che ha ostacolato la ricomposizione dell’ordinamento internazionale, di superare il preteso conflitto di civiltà, di conciliare pluralismo e relativismo. 

Dobbiamo comunque renderci conto che le parole sono pietre; da utilizzare con le medesime cautele delle armi. L’imputazione di genocidio non si configura che in presenza dell’intenzione di distruggere in tutto o in parte un gruppo etnico o religioso (dal fiume al mare, dicono piuttosto i palestinesi). L’appello alle prevalenti esigenze umanitarie, per quanto doveroso, deve riguardare l’insieme dei paesi dell’area che, a differenza degli Stati Uniti, non paiono disposti ad essere direttamente coinvolti. 

Le prese di posizione dei Tribunali internazionali nei confronti di Israele possono pertanto alleviare la coscienza di chi ha per mandato la tutela dei principi basilari della convivenza umana, ma non contribuisce ad indirizzare la crisi mediorientale verso la sua soluzione, esasperando o esaltando invece ulteriormente gli animi dei contendenti. A potenziale danno della stessa autorevolezza di tali istituzioni internazionali. 

Come si può pretendere che una parte si attenga scrupolosamente alle norme internazionali mentre l’altra le viola deliberatamente? Discriminante, nel caso mediorientale come in altre analoghe situazioni verificatesi dal giorno in cui crollarono le Torri di New York, dovrebbe essere la presa d’atto che il terrorismo ha radicalmente alterato la coerenza del diritto bellico, trascinandolo al proprio livello. 

Lo stesso riconoscimento dell’ancora inesistente ‘Stato palestinese’ ad opera dell’eterogenea combinazione di Spagna, Irlanda e Norvegia, pur indicativo dell’auspicio di molti, può avere un valore esortativo, certo non giuridico. Indispensabile parrebbe evitare di mettere Israele con le spalle al muro delle sole sue indiscutibili responsabilità, per non accentuarne il sentimento di insicurezza, irrigidendone il comportamento.

Invece di tentare di rimediare caso per caso alle tante lacerazioni del tessuto internazionale, è alla Carta dell’ONU che bisogna preliminarmente tornare. Restituendo credibilità e efficacia all’insieme del suo impianto istituzionale, non soltanto ad alcuni dei suoi pilastri. 

In Italia, che alle Nazioni Unite si è costantemente riferita, tale prospettiva è andata perduta: ci agitiamo disordinatamente per la questione palestinese, ma non sappiamo che dire di quella ucraina (salvo chiedere le dimissioni del Segretario Generale della NATO!).

Quanto al diffuso nostro anelito pacifista, oltre alla cruciale distinzione di Bobbio fra le sue configurazioni attiva e passiva, e quella di Sartori sui ‘pacifisti arrendevoli’ e quelli ‘pensanti’, si potrebbe citare il Voltaire dei suoi ‘Dialoghi filosofici’: “se il timore ci obbliga spesso a fare la pace, la pietà, che la natura ha messo nei nostri cuori come un antidoto contro l’eroismo carnivoro, fa sì che non trattiamo sempre i vinti con tutto il  rigore dovuto”. 

Nel suo ‘Pace perpetua’, Kant affermava che “la violazione del diritto avvenuta in un punto della Terra è avvertita in tutti i punti”.

Facebook Comments Box

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

« »