La perdurante polemica sulle considerazioni di Antonio Scurati che RaiTre, dopo averle commissionate per le commemorazioni del 25 aprile, ha deciso di non trasmettere, rappresenta di per sé un ulteriore sintomo delle tossine che continuano ad affliggere la coscienza degli italiani.
Condivisibile è che l’invettiva dello storico del fascismo contro il governo in carica fosse inappropriata in una trasmissione del servizio pubblico. L’acritica adesione ad un astratto pluralismo democratico, invece di inocularci i necessari anticorpi, produce un deleterio sovraccarico di polemiche. L’ormai dilagante libertà di opinione, non può tradursi nel ’uno eguale uno’ che alimenta la confusione mentale della nostra opinione pubblica.
Indiscutibile però è la riprovazione di un partito di maggioranza che non riesce a liberarsi dei richiami di un passato che non passa. Non tanto per l’intrinseca nostalgia, quanto per le scorie che ostacolano la necessità di adeguarci alla fase storica che stiamo vivendo. A danno della nostra immagine e credibilità internazionale.
Che l’estero registra. Lapidario in proposito il commento dell’attento Alan Freedman, amico dell’Italia, che pone l’accento sul fatto che la baraonda suscitata dalla vicenda dimostra la perdurante esistenza di una nazione divisa, ha detto, “fra Guelfi e Ghibellini”; che, ha precisato, a differenza della Germania o del Giappone, non ha mai fatto i conti con il proprio passato.
Nell’attuale momento di generale transizione internazionale, è pertanto all’estero, particolarmente dopo le imminenti elezioni europee, che il governo dovrà precisare la propria fisionomia. Non potendo continuare a contare sulla benevolenza altrui, dovrà uscire dal cono d’ombra nel quale sta scivolando, dimostrando in altre parole il nostro perdurante sostegno ai principi europei e atlantici ai quali si è affidata nell’immediato dopoguerra.
La solidarietà dei nostri ormai meno pazienti amici e alleati, dipende infatti più che mai dal contributo che potremo fornire per ricomporre la funzionalità politica e una riconoscibile fisionomia complessiva dell’Alleanza atlantica quanto dell’Unione europea.
Non possiamo in altre parole permetterci, come l’ungherese Orban nell’UE o il turco Erdogan nella NATO, di tenere il piede in due staffe, per un malinteso istinto di sovranità nazionale.