In un articolo sull’Economist, il nuovo Primo Ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese ha presentato il suo “progetto proattivo” per la creazione di “uno Stato palestinese sostenibile e prospero”.
Si dovrà trattare, ha detto Mohammad Mustafa, di “un governo non partigiano, tecnocratico, che possa ottenere la fiducia del nostro popolo e il sostegno della comunità internazionale, con il coinvolgimento di tutte le fazioni e partiti palestinesi in un dialogo costruttivo a livello dell’OLP”.
“Essenziale –ha precisato- sarà la riunificazione delle nostre istituzioni e della nostra legislazione attraverso Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est … Con un governo effettivo e responsabile … Un passo essenziale è l’impegno a tenere elezioni democratiche… Il sostegno della comunità internazionale e dei nostri partner regionali è indispensabile per promuovere la pace, la sicurezza, la stabilità e la prosperità dei palestinesi e dell’intera regione”.
Non mancano i riferimenti a “i bombardamenti e gli anni di assedio” israeliani, e le responsabilità di Hamas vengono chiaramente anche soltanto implicitamente indicate. Una serie di considerazioni e proposte che corrispondono alle aspettative della comunità internazionale, Stati arabi compresi.
Si tratta ancora e sempre di vedere se l’atteggiamento del nuovo governo dell’ANP riuscirà a riassorbire l’intransigenza di Hamas; il che dipenderà anche dalla misura in cui Israele riuscirà ad eradicarne la presa su Gaza. Un risultato che a sua volta richiede un più esplicito sostegno, sia pur condizionato, dell’Occidente al governo di emergenza israeliano. Nella forzata astensione, per il momento, del Mondo arabo.
Nel frattempo, dopo anni di ostracismo, e con buona pace per il tanto criticato colloquio di Renzi con il leader arabo-saudita, il nostro Primo Ministro si è recata al Cairo, accompagnata (come fece a Tunisi) dal Presidente della Commissione europea e da altri colleghi del Mediterraneo orientale, per includerlo nell’ancor vago ‘piano Mattei’, e sollecitarne il concorso in materia immigratoria. Il tutto impacchettato in un ‘memorandum di partenariato’. Dobbiamo presumere che, bilateralmente, abbia anche affrontato la ‘questione Regeni’.
Sulla questione mediorientale, soltanto un generico scambio di considerazioni. Riconoscere la “funzione strategica” che l’Egitto dovrebbe recuperare nella regione mediorientale può essere bastato a soddisfare il prestigio dell’ospite, ma l’Italia, con l’Europa benevolmente al traino, non può limitarsi a specifici accordi di collaborazione, dovendo invece concorrere più attivamente ai tentativi di districare gli aggrovigliati processi negoziali in Medioriente, così come in Libia.
Non risulta infatti che si sia discussa, nemmeno multilateralmente, la situazione in Libia , la cui ricomposizione statuale è tuttora compromessa per la contrapposizione fra Bengasi, con l’appoggio di Egitto e Russia, e Tripoli, sostenuta invece dalle Nazioni Unite (e dall’Italia).
Una questione che costituisce una concausa dei flussi immigratori, dei quali continuiamo ad affrontare soltanto le conseguenze.