All’armi

di 28 Febbraio 2024

Nel secondo anniversario dell’aggressione russa all’Ucraina, la situazione è lungi dal trovare una soluzione. Dalla Cattedrale di Kiev, il nostro Primo Ministro, presidente di turno del G7, ha però enfaticamente dichiarato che l’Ucraina “è un pezzo della nostra casa”.

Una professione di solidarietà che non cancella purtroppo la constatazione che i tanto attesi ‘dividendi della pace’ promessi dalla caduta del Muro non si sono materializzati, né in Russia né conseguentemente da noi. Si torna invece ad evocare l’eventualità del ritorno persini delle ‘guerre stellari’ sul nostro continente.

Mentre, a presidio del sistema internazionale, l’America ha mantenuto la propria presenza capillare sull’intero orbe terracqueo, l’Europa ha trasformato le spade in aratri, vuotato le caserme, abolito la coscrizione obbligatoria. Una fiduciosa smobilitazione ha pervaso l’intero Occidente, nella convinzione che le ragioni dell’internazionalismo liberale si sarebbero diffuse spontaneamente.

La guerra in Ucraina e l’eventualità di un ritorno di Trump hanno invece fatto improvvisamente riemergere, da astratto a concreto, il dibattito sulla necessità di una ‘autonomia strategica’ dell’Europa, dotata di un proprio esercito comune. Uno strumento che l’integrazione europea non contempla, per la diversità della sua vocazione e conformazione. In assenza di una difesa comune che, a differenza dell’invece necessaria più coerente politica di sicurezza, l’Unione non può né vuole esercitare, la NATO torna a rivelarsi essenziale.

E’ quindi del ritrarsi dell’America, non del mancato affermarsi di un’Europa della difesa, che dovremmo preoccuparci. Tenendo presente che l’intero ‘resto del mondo’ sembra aver perso il perno attorno al quale, per adesione o per opposizione, ruotava.

Ciò nonostante, sia pure a fatica, l’Unione europea sta prendendo coscienza della minaccia propriamente esistenziale che l’aggressione russa presenta, nel dichiarato rifiuto di un ordine internazionale condiviso, se non comune. 

Dopo che i Paesi baltici hanno suonato l’allarme, la Germania ha sollevato l’eventualità di ristabilire la leva militare; persino la Svezia ha ammesso di non poter più contare sui suoi duecentodieci anni di neutralità. Anche l’Ungheria nell’Unione e la Turchia nella NATO, rinunciando alle loro strumentali preclusioni, hanno finito col cedere all’evidenza.

Dal canto suo, carte alla mano, Sabino Cassese assicura che “diritto nazionale, diritto europeo e diritto internazionale consentono la cessione di armi a scopi di difesa, in presenza di violazioni del diritto internazionale tanto gravi come quelle commesse dalla Federazione russa a danno dell’Ucraina”. Meno prudente parrebbe invece l’invio di militari europei, sia pure a scopo di addestramento e assistenza, evocato dal Presidente Macron nel corso della riunione internazionale appena convocata a Parigi. 

Ci stiamo apparentemente svegliando dal lungo sonno nel quale ci eravamo adagiati fidando nella ‘fine della Storia’. Non se ne può dedurre che ciò possa influenzare il comportamento di un Cremlino barricatosi nelle proprie ossessioni. Il cui scopo è però diventato quello di saggiare la consistenza dell’Alleanza atlantica.

Non si tratta quindi propriamente di un rinnovato confronto militare est-ovest, al quale possano applicarsi le collaudate regole della dissuasione. Né si può contare su un esito decisivo del confronto militare in corso. Si dovrà semmai puntare su una più ampia convergenza di intenti che arresti l’anacronistica inutile strage, lasciando impregiudicato lo stato di fatto sul terreno, in attesa di tempi migliori. 

Nel frattempo, mentre l‘Unione ha messo in bilancio un fondo di sostegno a Kiev, e i paesi baltici stanno erigendo delle fortificazioni alle loro frontiere, il Presidente Macron e il Cancelliere Scholz hanno evocato l’esigenza di un ‘riarmo morale’, oltre che militare, dell’Europa. Di un’accresciuta pubblica consapevolezza cioè della posta in gioco. Per superare l’indifferenza di tanti e il pacifismo di altri, senza contare i soliti compagni di strada sui quali Lenin stesso contava.

Paradossale appare infatti che, nelle manifestazioni di piazza occidentali, l’Ucraina non compaia, scalzata da un Medioriente che all’Europa è invece ancora precluso. 

Il tutto nella prospettiva delle imminenti elezioni al Parlamento europeo.

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