Taiwan, o dell’integrità del sistema internazionale

di 16 Gennaio 2024

L’esito dell’elezione a Taiwan non cambia di molto i termini della questione che la Cina continua a sbandierare.

I principali candidati erano infatti divisi sulle modalità piuttosto che sul principio della difesa dell’indipendenza nazionale. Rimane pertanto da chiedersi se e come la Cina intenda far valere le sue pretese su un’isola che, pur non avendone storicamente mai fatto parte, Pechino vorrebbe assorbire. Con la strozzatura della navigazione che ne conseguirebbe nell’importante arteria del Mar cinese meridionale. 

È a quel teatro strategico, rimasto per secoli estraneo alle contese fra i grandi della terra, che gli Stati Uniti si sono pertanto rivolti da quando, con il ‘pivot to Asia’ di Obama, ritennero che la Russia e il Medioriente non dovessero più monopolizzare la loro attenzione. Stato rivierasco del Pacifico al pari del Giappone, dell’Australia e dell’India, l’America li ha pertanto coinvolti in una comune corresponsabilizzazione, allo scopo di contenere la proiezione esterna assertiva, storicamente inedita, decisa da Xi Jinping.

Nell’attuale, alquanto turbolento, momento internazionale, bisognerebbe però ritenere che la Cina abbia interesse a mantenere lo status quo, o quanto meno l’ambiguità strategica nella quale la questione è stata avvolta per decenni.

Dopo le punture di spillo nell’affermare la titolarità delle formazioni rocciose al largo delle sue coste, in spregio del parere contrario della Corte di arbitrato della Convenzione sul diritto del mare, la stessa infiltrazione finanziaria della Cina nei numerosi Stati-arcipelago del Pacifico, avrebbe voluto stabilire una rete di fatti compiuti, nel far prevalere i legami economici sul quelli propriamente militari.

Taiwan rimarrebbe l’ultima pedina, che una più attenta strategia occidentale dovrebbe ora affrontare. Sappiamo com’è andata a finire a Hong Kong la dottrina di ‘uno Stato due sistemi’. Abbiamo d’altronde appreso come, di questi tempi, anche in Ucraina, il diritto all’autodeterminazione venga proditoriamente disatteso.

È quindi della coesione dell’intero sistema internazionale liberale, collaborativo invece che ancora e sempre antagonistico, che si tratta. La cui tutela rimane la solitaria responsabilità di un Occidente che da oltre un secolo l’ha instaurato e promosso, e dal quale il proprio futuro oltre a quello, auspicabile, dell’intera umanità, dipende. Non più, come in passato, dal predominio, sempre precario, di una o più superpotenze.

Un’opera da prodigare possibilmente non mediante il puntuale impegno, reattivo, caso per caso, nella proliferazione dei teatri bellici, quanto attraverso un’opera di riaggregazione e stimolo degli Stati parimenti interessati a preservare l’integrità del sistema internazionale.

Un impegno che si è esteso sui mari, dal Mar Rosso alle sterminate distese dell’Oceano Pacifico.

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