Il coraggioso viaggio-lampo del Presidente Biden in Israele ha confermato quanto anche in Medioriente il ruolo dell’America rimanga indispensabile.
In un misto di prudenza e determinazione, le sue affermazioni, di denuncia del terrorismo di Hamas, di garanzia della sicurezza di Israele, di preoccupazione per le esigenze umanitarie, di sostegno alla soluzione di ‘due Stati’, combinando bastone e carota, hanno evidenziato il ruolo catartico svolto dall’America, nella persistente ambiguità del comportamento altrui.
Lasciando libero sfogo agli umori popolari, gli interlocutori arabi hanno evitato il contatto diretto che avrebbe potuto essere interpretato come sottomissione alla politica di Washington. Rimane da vedere quanto Hamas avrà potuto interrompere, se non pregiudicare, la normalizzazione dei rapporti di Israele con i suoi vicini. Per il momento, travalicando le ragioni del conflitto, tornano a prevalere le esigenze umanitarie.
Il tentativo dell’Egitto di riproporsi alla ribalta internazionale, con la convocazione di un vertice internazionale ‘per la pace’, non poteva certo produrre un comunicato congiunto, destinato com’era piuttosto a misurare il grado di solidarietà internazionale. In assenza di Israele e Iran, oltre che di Stati Uniti, Russia e Cina, la presenza dell’ONU e dell’UE, persino del Giappone e del Sudafrica, attorno all’esponente dell’Autorità Nazionale Palestinese ha potuto se non altro sollecitare l’attenzione dell’intera comunità delle nazioni.
In proposito, varrebbe la pena di rievocare le ragioni dell’inefficacia di quel ‘Quartetto’ fra Stati Uniti, Russia, Nazioni Unite e Unione europea, al quale era stato un tempo affidato il compito di accudire la questione mediorientale.
Se ne potrebbe dedurre che l’accumularsi di crisi improvvise stia finalmente convincendo tanto i diretti interessati quanto i principali attori esterni di non poter trarre vantaggio alcuno dal disfacimento dell’ordinamento internazionale. Un più vasto concorso di contributi esterni rappresenta la premessa indispensabile per l’ipotizzata, ideale, creazione di una forza multinazionale dell’ONU, con la partecipazione di una Lega Araba finora evanescente.
Alquanto dubbio appare infatti che Russia, Cina o Iran possano rivelarsi determinanti: Mosca è impantanata in Ucraina; Teheran ha ben altri problemi interni; Pechino è interessata più che altro alle risorse petrolifere. Sullo sfondo, l’annuale Vertice Europa-Stati Uniti e l’incontro fra Putin a Xi in occasione di un decennale della ‘Nuova via della seta’ hanno confermato le rispettive posizioni, pur nella loro diversa consistenza.
Se, anche strategicamente, Israele siamo noi europei, l’Unione ha tutto l’interesse e il dovere di adoperarsi più incisivamente per liberarla dall’irrigidimento assertivo che ha caratterizzato i governi di Netanyahu. Dando maggior respiro alle prospettive di comune prosperità regionale, le sole che potranno gradualmente riassorbire i diffusi risentimenti. Pur nella ferma difesa della legittima presenza di Israele in una ‘Terra Santa’ che appartiene congiuntamente alle tre religioni monoteiste.
Vi è da sperare che il trauma inferto da Hamas abbia avuto l’effetto di coagulare una più decisa assunzione di responsabilità dei Paesi arabi, rimasti troppo a lungo ai margini della Storia. Premessa che rimane indispensabile per restringere i margini di manovra di quanti ritengono di poter trarre beneficio dalle situazioni andate fuori controllo.
Anche in Ucraina e nei confronti di Taiwan.
(Per quanto ci riguarda, i discorsi astratti, retorici, dei nostri salotti televisivi hanno chiaramente perso la loro ragion d’essere: ambiguità, neutralità, relativismo non possono darci quella visione complessiva che le odierne circostanze palesemente esigono).