“Il magazzino dei materiali accumulati dall’umanità non riesce più a tenerlo in ordine… Non resta che indicare e descrivere più che spiegare”, diceva già Italo Calvino, il nostro sublime filosofo dell’esistenza, del quale proprio in questi giorni si celebra il centenario della nascita.
La Storia ci indica che le responsabilità per quel che ancora una volta travolge il Medioriente possono considerarsi equamente distribuite. Per le omissioni più che per le commissioni di ognuno. Dei paesi arabi, che per decenni si sono fatti scudo della causa palestinese, e che il loro riavvicinamento a Israele ha ora emarginato. Dei palestinesi stessi, la cui radicale scissione fra realisti e radicali ha impedito le prospettive negoziali presentatesi ricorrentemente.
Circostanza di cui Netanyahu si è avvalso per il suo statico ‘divide et impera’, fidando nell’accondiscendenza del Mondo arabo, invece di operare per consolidare la credibilità dell’Autorità palestinese nella West Bank in contrapposizione all’intransigenza di Hamas nel contestare l’esistenza stessa di Israele.
Non minori, nel mondo esterno, le responsabilità dell’America di Trump che ha sostenuto la prova di forza del governo israeliano; della Russia che ha ripreso l’opera di ostruzione sviluppata durante l’intera Guerra fredda; dell’Iran, che utilizza Hamas per affermare la propria presenza regionale; della Cina, che dovrebbe riflettere anche lei sui rischi di un disfacimento dell’ordinamento internazionale, che lascia il campo aperto al terrorismo; dell’Unione europea, infine, dimostratasi sistematicamente sensibile, politicamente e finanziariamente ma con scarsi risultati, alle esigenze dei palestinesi, nel tentativo di equilibrare l’indispensabile sostegno americano a Israele.
Molteplici sono ora le pressioni su Netanyahu perché si astenga dal rispondere con le medesime armi al terrorismo di Hamas. Rischiando di cadere nella medesima trappola in cui Bin Laden ha trascinato il Mondo libero, con le conseguenze che conosciamo.
Che la preoccupazione per la propria esistenza abbia sinora prevalso nell’impostazione della politica estera israeliana significa che è necessario eliminarne la ragione. Gli ‘accordi di Abramo’, il crescente coinvolgimento dell’Arabia Saudita, hanno avuto l’effetto di suscitare la rabbiosa reazione di Hamas. Che non deve quindi ora sconvolgere la diversa propensione dei governanti arabi. Mentre ogni diretto intervento occidentale rischia di suscitare, come in passato, effetti controproducenti, è sul mondo arabo che ricade oggi la responsabilità primaria.
Inverosimile è pertanto che, nelle nostre piazze, persino nelle Università (anche in quelle americane) destinate a formare le generazioni del nuovo millennio, si moltiplichino le manifestazioni indiscriminatamente in favore dell’astratta causa palestinese, di cui Hamas vorrebbe appropriarsi.
Una situazione che andrebbe concettualmente collegata al conflitto in Ucraina, afflitto dai molteplici medesimi (deliberati?) corto circuiti mentali fra cause e conseguenze, che affliggono la sola coscienza politica occidentale. Prova ne sia la libera espressione delle elucubrazioni a uso e consumo televisivo, alle quali si sono aggiunte le farneticazioni di una ex funzionaria diplomatica, che ha maturato le sue convinzioni nell’ozio delle confortevoli sedi bilaterali di Stoccolma e Bruxelles.
“La morte non è nel non poter comunicare, ma nel non essere compresi”, ammoniva il compianto PPPasolini.