Una legge implacabile torna a infestare i rapporti internazionali: quella del più forte.
Il Nagorno-Karabakh viene annesso manu miltari dall’Azerbaigian, nell’indifferenza di una Russia dichiaratamente protettrice dell’Armenia, e nell’impotenza di un’Europa che ne ha riconosciuto lo status di candidata all’Unione.
La medesima ‘pre-potenza’ viene esercitata dalla Russia nei confronti dell’Ucraina. Putin ha infatti appena celebrato il primo anniversario dell’annessione delle tre regioni ucraine occupate. Il suo ventriloquo Medvedev ha aggiunto che toccherà ora al resto della nazione aggredita. Dichiarazioni che sbarrano il passo a ogni presunta estrema mediazione, a opera del brasiliano Lula o del cinese Xi.
Non più del solo ritiro delle truppe russe ci si trova infatti a dover trattare, ma della ‘de-annessione’ dell’intera fascia di territori ucraini lungo la costa del Mar Nero, che Mosca ha proditoriamente dichiarato russi, al pari di quanto fece con la Crimea.
Come se non bastasse, nel tornare a trincerarsi dietro lo spettro nucleare, Putin ha incorporato i mercenari della Wagner, esibendosi anche con gli ultimi pretoriani di cui dispone, il nordcoreano Kim e il vassallo ceceno Kadirov.
Evidente è quanto l’autocrate del Cremlino intenda ormai trasformare lo stallo in Ucraina, diplomatico oltre che militare, in una sfida all’Occidente, al quale continua imperterrito a imputare l’attuale situazione. Puntando, come sua estrema carta, sul graduale spossamento politico e strategico dello schieramento euro-atlantico.
Mentre l’America deve evitare di cadere nella trappola tesagli da Putin, è sull’Unione europea, che Mosca disdegna, che ricade il peso maggiore della resistenza alla resa senza condizioni pretesa dall’intero continente.
Potenza politica più che militare, l’Europa non può più tardare a riappropriarsi delle responsabilità che le competono. Scrollandosi di dosso gli istinti nazionalisti e populisti che l’hanno devastata nel secolo scorso, nei quali, apparentemente intimidita, torna a rifugiarsi (l’esito elettorale in Slovacchia è il più recente campanello d’allarme).
Un’Europa che dovrebbe manifestare la propria vitalità, aggirando l’introversione della Russia nelle sue regioni circostanti, nelle quali va perdendo la propria credibilità. Proprio in quei paesi che l’Unione ha dichiarato candidati all’adesione, in Moldova, Armenia e Georgia, oltre che nei Balcani Occidentali, in Bosnia e Kosovo
Una serie di nodi gordiani, anche nel Caucaso, in Africa, che Mosca vorrebbe utilizzare come pedine di una strategia diversiva. Ai quali l’Unione deve pertanto rivolgersi con maggior decisione e visibilità. Schierandosi non come il blocco omogeneo che non è, e non sarà, bensì come comunità politica differenziata ma meglio articolata.
Il progetto franco-tedesco di un’Europa a vari livelli (a ‘torta nuziale’, diceva il compianto Andreatta) è la strada giusta da intraprendere al più presto.