Il Vertice del G20, ospitato quest’anno da un’India che si ripropone come protagonista, ha confermato il crescente coinvolgimento del “Sud globale” nella ricomposizione del sistema internazionale che le Nazioni Unite avevano disposto nel 1945, ma al quale la Russia non si è mai adattata.
L’ammissione dell’Unione Africana, in rappresentanza di un continente a lungo trascurato, costituisce un altro tassello in tal senso. In alternativa a quel BRICS che, nelle intenzioni di Mosca e Pechino, dovrebbe affermarsi in antagonismo allo schieramento occidentale
In assenza di Putin e Xi, tenutisi in disparte, la riunione di Delhi ha registrato ancora una volta, sia pure con una formula diplomatica, sfumata ma inequivocabile, la denuncia del comportamento di Mosca. Dichiarando che “tutti gli Stati, in linea con la Carta dell’ONU devono astenersi dalla minaccia o dall’uso della forza per acquisizioni territoriali, o lesioni della sovranità e l’indipendenza politica di qualsiasi Stato”.
Rilevante è l’esplicito appello al ritorno alla casella di partenza del 1945. Che dovrebbe poter preludere alla mobilitazione dal basso che, più di ogni riforma del Consiglio di Sicurezza la cui disfunzione è da imputare alla persistente contrarietà di Mosca, rimane indispensabile per la rigenerazione del sistema internazionale tracciato dalle Nazioni Unite
Si può quindi ritenere che il trauma dell’aggressione all’Ucraina possa servire a ricondurre sulla retta strada una comunità internazionale la cui stessa esistenza è stata a lungo messa in dubbio dal confronto bipolare. Un confronto che Russia e Cina vorrebbero ora, sia pur diversamente, resuscitare.
La ‘famiglia dell’umanità’ esaltata dalla Carta di San Francisco sta forse tornando alla ribalta. Evidente comunque è che, a tal fine, su un palcoscenico internazionale nuovamente affollato, i singoli stati non potranno utilmente esprimersi se non tramite i rispettivi raggruppamenti sub-regionali, europeo, africano, asiatico, latino-americano, chiamati ora a raccolta. Ciò esclude in particolare che l’Italia possa far valere le sue ragioni nel corso di incontri bilaterali, dal valore più che altro protocollare