L’investitura

di 31 Luglio 2023

Anticamente, venivano a Roma; oggi è a Washington che si va per l’investitura. Dopo i Ministri Urso, Tajani, Crosetto, Piantedosi, persino Lollobrigida, è stata finalmente l’attesa volta del nostro Primo Ministro.

In particolare, in Italia, le stampelle esterne dell’atlantismo e dell’europeismo, in alternativa quando non in contemporanea, hanno da sempre compensato la cronica frammentarietà degli schieramenti politici che sostengono o avversano il governo.

Anche questa volta, il rituale pellegrinaggio al soglio americano doveva servire a consolidare l’autorevolezza interna, più che a certificare la rilevanza internazionale dell’Italia. Pur rischiando di continuare a fornire alimento al sentimento strisciante anti-americano, per l’asserita nostra perdurante subordinazione all’impostazione strategica d’oltreatlantico. Circostanza che, mettendo le mani avanti (excusatio non petita), lo stesso nostro Primo Ministro ha pubblicamente ritenuto di dover smentire.

All’inedito nostro nuovo governo, la conferma dell’antica reciproca amicizia ha prevalso sulla sempre presente preoccupazione di nostri rinnovati ‘giri di valzer’. Rivelatrici in proposito l’affermazione della Meloni che l’America costituisce per noi “un faro di luce”, e quella di Biden che “siamo diventati [sic] amici” con un Primo Ministro che “guarda avanti invece che indietro”.

L’enfatica dichiarazione di apprezzamento va però considerata, non ancora un riconoscimento di affidabilità, bensì un’esortazione a continuare a differenziarsi da altri esponenti della destra europea. Il politologo Charles Kupchan, che ci conosce bene, ricorda che “le relazioni con gli USA dipendono anche dai valori condivisi, non soltanto dalla cooperazione geopolitica”.

Washington continuerà pertanto ad attenderci alla prova sui temi strategici di preminente rilevanza, in Ucraina, nei confronti della Cina, non soltanto sulla questione immigratoria, che ci interessa più da vicino, fungendo da chiave di volta dei nostri grandiosi progetti nel Mediterraneo e nei confronti dell’Africa. In funzione anche della nostra prossima presidenza del G20.

Il Ministro della Difesa Crosetto, che delle più immediate esigenze dell’America è il custode, ha assicurato che “l’Italia non è solo affidabile, ma si è dimostrata anche un partner visionario”. Non retoricamente velleitario, bisogna sperare.

Non è però soltanto dall’America che possiamo ottenere i titoli di merito di cui abbiamo bisogno, dovendo piuttosto andarceli a cercare in un più continuo e propositivo contributo all’elaborazione di una più coerente politica dell’Unione, tanto economica quanto estera.

Quel nostro diffuso sentimento antiamericano continuerà altrimenti a manifestarsi, quale istinto parricida di un paese adolescente, incapace di affermare diversamente la propria emancipazione.

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