Il governo italiano ha colto l’occasione della presenza a Roma dei rappresentanti dell’intera comunità internazionale al Vertice FAO sui sistemi alimentari, per presiedere una separata, pomeridiana, riunione con i nostri vicini meridionali, dedicata allo ‘sviluppo e migrazioni nel Mediterraneo allargato’.
Un’iniziativa di facciata quindi per ora, in funzione di un altro vertice a novembre prossimo con l’intero continente africano, apparentemente rivolta a mantenere l’attenzione sulla nostra candidatura per altri appuntamenti, quali il G7 o l’Expo2030.
Non ne poteva emergere un gran che, se non la ripetizione dei nostri generici buoni propositi, che tardano però a tradursi in iniziative concrete, imperniati come sono tutti sulla questione migratoria per la quale ci rivolgiamo ai nostri vicini di transito, piuttosto che di quelli di provenienza. Bisognerà invece ritrovare il filo d’Arianna politico che colleghi le varie componenti di un fenomeno multiforme.
La questione immigratoria non può che essere affrontata a livello comunitario, giacché coinvolge trasversalmente le varie funzioni, politiche, economiche e sociali, dell’Unione, da coordinare pertanto strategicamente, nell’appropriato raccordo fra iniziative nazionali e comunitarie. Disponendo non, a valle, uno schema distributivo degli arrivi, bensì, a monte, dei programmi di collaborazione, non più di mera assistenza allo sviluppo.
La liberazione di Zaki non è che una scintilla, un episodio marginale, del quale non possiamo bearci a lungo, in un quadro strategico regionale che rimane instabile e, quel che è peggio, indecifrabile. Al Vertice NATO, siamo apparentemente riusciti ad iscrivere il fianco sud dell’Alleanza quale zona strategica in appendice all’Ucraina e alla Cina.
Nella regione, il necessario collante non può essere costituito dalla sola immigrazione (né dal solo petrolio). In Libia, ma anche in Tunisia, in Algeria, nel Sahel e nel Corno d’Africa, rimane indispensabile ritessere l’antica comune trama, contrastando le penetrazioni antagonistiche, militari della Russia ed economiche della Cina.
È in Europa che dovremmo parimenti darci da fare, perché l’Unione provveda con maggior decisione a rigenerare il nostro comune mare interno, inaridito da mezzo secolo di conflitti, infiacchito poi dalle ‘primavere arabe’, e abbandonato infine a se stesso da quel che appare come una rassegnata incuria internazionale.
Dal solo Egitto si potrà pretendere che, con l’assistenza europea, recuperi quel ruolo che le compete geograficamente e storicamente, ma che pare aver abbandonato all’Arabia Saudita.