Henry Kissinger compie cent’anni. Un’età veneranda che ne fa l’incarnazione di mezzo secolo di politica estera americana. Affiancandosi a George Kennan, altro centenario, se ne distingue per il realismo, ereditato dalle origini europee, innestato nell’idealismo della sua terra di adozione.
L’immigrato ebreo da una Germania nazista, si è affermato come ‘guru’ di oltre mezzo secolo della politica estera americana. Personalità di stampo rinascimentale, docente a Harvard, studioso della Restaurazione post-napoleonica, si fece ‘consigliere del principe’, da Kennedy a Nixon a Ford. Insofferente di ogni costrizione dall’apparato burocratico, fu spesso contestato per le sue prese di posizione difformi dalle tradizioni politiche e diplomatiche di un’America alle prese con un mondo irrequieto. In una prolungata fase storica dai molteplici assestamenti internazionali, che contribuì a disciplinare.
Artefice, al tramonto di Mao, della riconciliazione con la Cina e degli accordi di pace col Vietnam, che gli valsero il premio Nobel, paziente e caparbia ‘spoletta’ negoziale in Medioriente, più sbrigativo invece nei suoi rapporti nel ‘cortile di casa’ latino-americano.
Realista nell’analisi e nell’azione immediata, idealista nell’impostazione a più lungo termine, talvolta controverse, ma tutt’altro che banali, si sono rivelate le sue prese di posizione nell’intrico delle crisi affrontate. Incurante di ogni preoccupazione di politica interna, la sua lucidità intellettuale si traduceva talvolta in arroganza, nel gestire le ricorrenti emergenze preservando una qualche continuità alla politica estera di una nazione consapevole delle proprie sopravvenute responsabilità globali.
Non che il corso della Storia abbia sempre corrisposto alle sue aspettative. Ma, in una fase internazionale di assestamento globale, la politica americana ne ha guadagnato in coerenza e prevedibilità. Lo confermano, ‘a contrario’, le attuali circostanze internazionali, prive improvvisamente di quel termine di riferimento.
Fedele alla sua originaria vocazione didattica, Kissinger rimase prolifico autore di volumi rivolti a guidare le opinioni pubbliche nei meandri della politica estera: dalle opere sulla Storia e l’Arte della diplomazia, sull’Alleanza atlantica, sulla Necessità di una politica estera americana, sull’Ordine Mondiale futuro, sulla Cina, alle trascrizioni dei suoi colloqui con i grandi della terra, agli articoli di analisi e proposta sugli affari correnti.
L’ultima sua opera, “Leadership”, subito pubblicata anche in traduzione italiana, è l’estremo omaggio reso ad alcuni dei principali artefici di questo dopoguerra: Adenauer, De Gaulle, Nixon, Sadat, Lee Kwan-yew, Thatcher. Altri due, con lo sguardo rivolto l’uno al futuro, sull’Intelligenza artificiale, e l’altro al passato, sulla Natura delle alleanze, sarebbero di imminente pubblicazione!
Sul dilemma ucraino di questi giorni, ha ricordato che “il diplomatico deve identificare il punto inferiore, nel quale l’interesse nazionale è minacciato, e quello oltre il quale la sconfitta della controparte diventa controproducente”.
“Vi sono –ha appena detto all’Economist- due modi per stabilire una pace durevole in Europa: uno è di includere l’Ucraina nella NATO, per contenerla e proteggerla; l’altro è che l’Europa si adoperi per un riavvicinamento a Mosca”. Aggiungendo che “ritengo possibile la creazione [americana] di un ordine mondiale basato su regole comuni, che includa Europa, India e Cina”. (E la Russia?).
Instancabile, raro, statista.