DARIO ANTISERI: Alessandro Manzoni, laico in tutti i sensi

di 23 Maggio 2023

di Dario Antiseri

«Guai alla Chiesa se ella facesse un giorno pace col mondo! se desistesse dalla guerra che il Vangelo ha intimata, e che ha lasciata alla Chiesa come la sua occupazione e il suo dovere; ma questo timore non può mai essere fondato, perché l’espressa parola di Gesù Cristo assicura il contrario»

Il testo che segue è tratto dal libro di Dario Antiseri Il liberalismo cattolico italiano, Rubbettino, 2010

1. Giustificare un’azione ingiusta «non è una scusa, è una colpa»

«EVIDENTISSIMA, NEGLI SPUNTI DISSEMINATI nelle opere letterarie [di A. Manzoni], nonché negli scritti più direttamente impegnati nel campo storiografico o moralistico, è l’influenza di Rosmini» (R. Tisato, I liberali cattolici, 1959, p. 92). Gli incontri tra Manzoni e Rosmini sono testimoniati dalle Stresiane di Ruggero Bonghi. È nel 1860 che Manzoni riceve le visite di Cavour e Garibaldi; nel 1861, nominato senatore, partecipa alla seduta del Senato in cui si proclama Roma capitale d’Italia. Nato il 7 marzo del 1785, Manzoni muore a Milano il 22 maggio del 1873.

Fu soprattutto con il suo romanzo I promessi sposi che Manzoni esercitò un’influenza di prim’ordine sulla più ampia opinione pubblica italiana, tanto da venir considerato come l’iniziatore del liberalismo cattolico italiano (G. Candeloro, Il movimento cattolico in Italia, 1953, p. 22 e ss.). Liberale cattolico per la ragione che, a suo avviso, l’unico criterio valido per interpretare eventi storici e situazioni politiche sta nel bene e nel male dei singoli individui la cui vita si è intrecciata e si è svolta in precise situazioni e in concreti eventi storici. Interpretazioni deterministiche, l’affidarsi alla ragion di Stato, l’esaltazione dei geni politici e della guerra, la sostituzione del prìncipe con princìpi dogmatici dalle conseguenze cariche di sofferenze, la giustificazione utopistica di sacrifici certi della generazione presente in nome dell’ipotetico bene della generazione futura, sono concezioni e prospettive euristiche, che Manzoni rifiuta. «Quel che ci interessa nel Manzoni, per capire il lato liberale del suo cattolicesimo, è l’interpretazione che dà, nelle Osservazioni sulla morale cattolica, del 1819, dei fondamenti interiori dell’obbedienza all’autorità della Chiesa. È sempre il dictamen interiore della coscienza che deve portare il credente ad accettare la legge cristiana che, d’altra parte, si inserisce nell’ordine della grazia e della carità» (A. Passerin d’Entrèves, in Aa. Vv., I cattolici liberali nell’Ottocento, 1976, p. 100). Il fulcro della concezione morale e della prospettiva politica del Manzoni è la persona libera e responsabile, illuminata e fortificata dalla fede nella Provvidenza. Quella fede che, come leggiamo nel cap. VII delle Osservazioni sulla morale cattolica (pp. 114-117), ha accompagnato i martiri cristiani i quali, come Ignazio di Antiochia o i cristiani di cui si parla nella lettera di Plinio a Traiano, ebbero il coraggio di opporsi al potere «assoluto» dell’imperatore romano, di dissacrarlo e relativizzarlo in nome del Dio trascendente: Káysar non è Kýrios. È ben vero che la cristianità nel corso della storia ha offerto esempi di crudeltà commesse con il pretesto della religione, senonché – precisa Manzoni – «si può sempre asserire che coloro i quali le hanno commesse, furono infedeli alla legge che professavano; che questa li condanna. Nelle persecuzioni gentilesche, invece, nulla può essere attribuito a inconseguenza dei persecutori, a infedeltà alla loro religione, perché questa non aveva fatto nulla per tenerli lontani da ciò» (ibidem). La verità è che «l’idea […] della moralità, quale l’ha rivelata il Vangelo, è tale che nessun sistema di morale venuto dopo […] non ha potuto lasciar di prenderne qualcosa» (ivi, p. 233). È un’etica, quella cristiana, che – come leggiamo nella Storia della colonna infame – respinge la resa ai fatti: giustificare un’azione ingiusta o «fatti atroci dell’uomo contro l’uomo» come «effetto dei tempi o delle circostanze […] non è una scusa, ma una colpa».

2. Quando «idee irragionevoli» fanno perdere «l’orrore della carneficina»

La morale del Vangelo ci libera dall’idolatria e dal servilismo nei confronti del potere. In fondo, «ogni potere ingiusto, per far male agli uomini, ha bisogno di cooperatori che rinuncino ad obbedire alla legge divina, e quindi l’inesecuzione di essa è la condizione più essenziale perché esso possa agire» (Osservazioni, cit., p. 291). Ma questo non deve far dimenticare «la lunga successione di cristiani coraggiosi che seppero non solo astenersi dalla adulazione, ma dire il vero con pericolo» (ivi, p. 292). Contrario al prìncipe assoluto, il cristiano ha da essere critico anche nei confronti della presunta assolutezza di princìpi e prospettive politiche assolute. Robespierre, scrive Manzoni in Dell’invenzione (Tutte le opere, pp. 899-901), era un uomo privo di interessi privati, noncurante della ricchezza e dei piaceri, e di costumi sobri; ma egli aveva imparato da Rousseau che l’uomo nasce buono e che le istituzioni fossero l’unico ostacolo a uno stato perfetto della società; da qui la sua decisione «di levare di mezzo» tutti quegli uomini che si opponevano alla riconquista della felicità sulla faccia della terra. Una irragionevole idea, dunque, «potè far perdere l’orrore della carneficina a un uomo, il quale, nulla indica che n’avesse l’abominevole genio». E in stragi e in oppressione del Paese, «sotto il nome di libertà», si è risolta, per la stessa ragione, la Rivoluzione francese, mentre, nel caso italiano «la libertà, lungi dall’essere oppressa dalla Rivoluzione, nacque dalla Rivoluzione medesima: non la libertà di nome […], ma la libertà davvero, che consiste nell’essere il cittadino, per mezzo di giuste leggi e di stabili istituzioni, assicurato, e contro violenze private, e contro ordini tirannici del potere, e nell’essere il potere stesso immune dal predominio di società oligarchiche, e non sopraffatto dalla pressura di turbe, sia avventizie, sia assoldate: tirannia e servitù del potere, che furono, a vicenda, e qualche volta insieme, i due modi dell’oppressione esercitata in Francia ne’ vari momenti di quella Rivoluzione; uno in maschera di autorità legale, l’altro in maschera di volontà popolare». La Rivoluzione italiana è stata un processo scaturito dal «sacrosanto diritto» di superare quella divisione tra Stati che li rendeva «irreformabili» e da cui seguitava a scaturire «una storia perpetua di strazi e di vergogne». Difesa, dunque, di una prospettiva moderata che ritroviamo, per esempio, nella seconda Stresiana, nel giudizio che il Manzoni dà sulle motivazioni a base del criterio maggioritario. E, infine, va sottolineato che, nel pensiero di Manzoni, religione e politica sono «congiunte», in quanto l’una e l’altra riguardano il «giusto», ma tuttavia «distinte», per la ragione che «la Chiesa, che fu fondata sulla dottrina rivelata e carismatica, è indipendente da ogni forma politica; perciò il Manzoni è contro la religio instrumentum regni, come è contro il cattolicesimo politico che fa dello Stato un instrumentum religionis e ogni altra teoria che non ponga la religione al di sopra degli interessi mondani; contro il mantenimento del potere temporale del Papa, ormai dannoso, anche se storicamente giusto» (M. F. Sciacca, Il pensiero italiano nell’età del Risorgimento, 1963, p. 219).

3. La libertà è una conquista tra le contraddizioni della storia

«“Io laico in tutti i sensi” […] – scriverà Manzoni al Rosmini in una lettera del 28 febbraio 1843 – fiero di portare avanti in armonia sia la sua “cattolicità” sia la sua “laicità”» (U. Muratore, “Io, laico in tutti i sensi”. Rosmini, Manzoni e la questione laica, in Aa. Vv., La coscienza laica. Fede, valori, democrazia, Edizioni Rosminiane, Stresa, 2009, p. 171). Senza dimenticare le acquisizioni del pensiero moderno, Manzoni «ha posto su basi cristiane» la scienza dell’uomo: egli «riesce a provare che la fede, il coraggio, la resistenza degli umili alla sofferenza sostengono questa civiltà vacillante e scossa da tante debolezze e dalla corruzione, che minano anche le grandi istituzioni maestre, lo Stato e la Chiesa. Prova anche che l’uomo non è “nato libero”, come suggeriva Rousseau, ma che deve conquistarsi la libertà fra tutte le contraddizioni della storia e della società, con uno sforzo che impegna ogni individuo, fino a coloro che i «filosofi» umanitari avevano stimato insignificanti. Questo è il lato democratico della inchiesta che Manzoni ha condotto, su un campo appartenente alla storia, malgrado il suo carattere apparentemente letterario, e questo è il messaggio che egli ha trasmesso a quei cattolici liberali, e anche a quei democratici che hanno cercato, dopo di lui, di costruire in Italia uno Stato laico lottando contro il temporalismo della Chiesa, ma pure contro gli eccessi di un anticlericalismo rancoroso e sterile» (A. Passerin d’Entrèves, cit., pp. 101-102).

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