Arrestare l’«inutile strage»

di 5 Maggio 2023

La telefonata di Xi a Zelenski aveva suscitato un cauto ottimismo sulla possibile influenza sul Cremlino dell’intera comunità delle nazioni.

Ci siamo purtroppo dovuti subito ricredere. L’immediata reazione russa, con l’intensificazione dei bombardamenti su infrastrutture e edifici civili, e la dichiarazione che gli ucraini dei territori occupati che non accetteranno la cittadinanza russa saranno “deportati” (?), ha invece confermato l’impermeabilità di un autocrate che persevera nel suo paranoico auto-isolamento.

Non ne abbiamo ancora preso atto, ma la Russia ha perso. Ha perso il giorno stesso in cui ha attaccato l’Ucraina. Distruggendo la sua ambizione di ritrovare il suo status di superpotenza, in termini di credibilità e influenza politica nei confronti dell’America, della Cina, dell’Europa, dello stesso intero Terzo mondo.

Nelle attuali condizioni politiche e militari, comunque evidente è che non potranno esservi né vincitori né vinti. D’altronde, è stato spesso osservato, i negoziati più produttivi si ottengono quando ambedue le parti non sono pienamente soddisfatte del risultato. Tanto più quando tale risultato non consisterà che in un capitolo di un processo protratto, come sarà necessariamente il caso dell’Ucraina.

Vi è chi, come Richard Haas e Charles Kupchan nell’ultimo numero di Foreign Affairs, prende atto che l’inutile strage non può eternizzarsi. Che il momento dovrebbe essere giunto per l’Occidente di farsi avanti, proponendo una via d’uscita dal tunnel in cui Putin si è cacciato, auto-isolandosi dall’intero mondo circostante. Continuare a lasciare a quella popolazione il solitario onere di difenderci è ormai insostenibile. Si dovrebbe pertanto trattare di “riconoscere la realtà senza sacrificare i principi”.

Dopo aver accelerato le forniture di armi a Kiev per ridurre le opzioni militari di Mosca, una ‘tregua durevole’ dovrebbe attestarsi sulle posizioni raggiunte sul terreno, pur nella riaffermazione dei principi di diritto internazionale ai quali l’Ucraina e l’Occidente (e, apparentemente, la Cina) si attengono. A Kiev non verrebbe pertanto imposto di rinunciare al Donbas né alla Crimea, ma ogni soluzione complessiva delle occupazioni territoriali russe verrebbe rinviata a tempi più propizi.

Al momento cioè in cui verrà posto un termine all’intransigenza di Putin, e l’intera architettura di sicurezza europea potrà essere ricomposta. Alle Nazioni Unite o all’OSCE verrebbe affidato il compito di provvedere alo schieramento di osservatori lungo una linea smilitarizzata,. Nel frattempo, specifici accordi della NATO e dell’UE con l’Ucraina servirebbero a corrispondere alle originarie aspirazioni di quella nazione.

Si porrebbe in tal modo termine – argomentano i due autorevoli politologi americani – all’insensata emorragia di quella popolazione e alla distruzione delle sue infrastrutture civili, mentre la solidarietà del mondo esterno potrebbe subito esprimersi nel concorso alla ricostruzione materiale e morale di quella nazione.

Collateralmente, l’astratto pacifismo che, da Conte a Rovelli, continua a serpeggiare in Italia dovrebbe trovarvi sufficienti elementi di appagamento.

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