Giù il potere d’acquisto: ecco come e perché i salari devono crescere

di 13 Aprile 2023

Il potere d’acquisto è sceso del 3,7% nel quarto trimestre 2022 rispetto ai tre mesi precedenti. Istat ha spiegato che la crescita del reddito disponibile delle famiglie (+0,8%) è stata accompagnata da un aumento dei prezzi al consumo “particolarmente forte”, provocando il calo del potere d’acquisto. La flessione ha impattato soprattutto sul “tasso di risparmio”, dato che la spesa per consumi finali ha registrato un aumento del 3%. Non a caso, con l’approvazione del Def (Documento di economia e finanza), martedì 11 aprile il governo ha deciso di tagliare il cuneo fiscale per i redditi più bassi. Si tratta di una manovra da 4 miliardi di euro.

Anzitutto, il calo del potere d’acquisto non è un fenomeno transitorio. È piuttosto una costante di questa stagione. La riconfigurazione della globalizzazione provoca il rincaro delle materie prime e, quindi, inflazione. Il conflitto tecnologico e commerciale tra Est e Ovest, che con pandemia e guerra incontra una potente accelerazione, ha visto una corsa all’accumulo – in particolare da parte della Cina – di materie prime strategiche, gas, minerali, chip e semiconduttori, cereali, cotone, etc. Ciò ha accresciuto non solo la dipendenza europea ma anche i costi di importazione con conseguenti ricadute su imprese e famiglie. Peraltro, questo rincaro dei prezzi è fenomeno irreversibile perché ciò che è stato prodotto con lievitati costi di approvvigionamento, manterrà il suo valore di mercato anche in futuro.

Tuttavia, vi è anche un altro fattore rilevante che incide e inciderà sempre più sul potere d’acquisto: si tratta della Transizione ecologica. Il prodotto green, infatti, è più costoso, sia per aspetti legati ai costi di trasformazione dell’industria; sia perché a Bruxelles si va nella direzione di ritenere che il prodotto locale sia conforme agli standard e non quello di importazione, in particolare dalla Cina. Ora, tutti sanno che il prodotto europeo – sul quale l’UE sta orientando il consumo proprio come hanno fatto gli USA con i dazi – è più costoso di quello asiatico.

Ecco perché la crescita del potere d’acquisto è fondamentale per restituire vitalità ed energia all’economia.

Non sarà certamente il salario minimo a risolvere questo problema. Questo non può generare alcuna crescita, può essere utile solo a ristabilire un equilibrio laddove violato e a contrastare il lavoro povero. Il governo prosegue nella riduzione della tassazione sui redditi da lavoro. La strada è quella giusta ma i risultati sono deboli. Inoltre, non ha alcun senso che il taglio del cuneo fiscale sia misura universale: in particolare, potrebbe riguardare quei settori particolarmente stressati dal costo del lavoro (p.e. logistica, tessile, confezionamento, dove si raggiungono picchi del 55-60%) e la platea dei lavoratori dipendenti della micro/piccola impresa (95% del nostro sistema produttivo che corrisponde circa al 35% dell’occupazione). L’impresa medio/grande ha meno esigenze di essere sostenuta e può attivare da sé i medesimi ritocchi alle retribuzioni. Ciò permetterebbe di contenere gli impatti dell’intervento sulla finanza pubblica e di rafforzare l’efficacia del taglio fiscale, concentrando le risorse in modo mirato.

Tuttavia, è fondamentale rilanciare gli investimenti e innescare percorsi di crescita della produttività: in quest’ottica, il Pnrr ci può dare una mano; ma per sviluppare capacità progettuale – ed evitare di perdere parte dei fondi – serve un commissario straordinario.

Twitter: @sabella_thinkin

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