L’arresto a Mosca del corrispondente del Wall Street Journal rappresenta l’estrema prova dell’estraniamento della Russia dal mondo civile.
Non di spionaggio né di propaganda ostile può essersi trattato ad opera di un giornalista investigativo che operava alla luce del sole, bensì di una testimonianza dell’intento di reprimere ogni fonte di libera informazione, non soltanto all’interno ma persino nei confronti dell’esterno. Confermando la determinazione del regime di Putin nel rinnegare gli impegni presi a Helsinki nel 1975, isolando la nazione dall’intero mondo esterno.
Il caso ha voluto che mi sia capitato fra le mani un volume pubblicato nel 1947 da un funzionario americano, John Fisher, incaricato di gestire in Ucraina (!) l’utilizzo dell’assistenza fornita dall’UNRRA all’URSS (un diverso Piano Marshall del quale si è persa la memoria): le sue rivelazioni sull’atteggiamento del Cremlino di allora sono applicabili tali e quali alla situazione odierna.
A conferma di quanto la Russia fatica per liberarsi delle sue ataviche ossessioni nei confronti del mondo esterno. E, corrispondentemente, della fatica del mondo esterno nel tentare di raccordarvisi, sia pur tentando di rispettarne le ragioni.
Un regime che ha imprigionato Navalny, ma fornisce da anni rifugio al rivelatore di segreti di stato americano Ed Snowden, diffonde palate di ‘fake news’, interferisce nelle campagne elettorali altrui, dimostrando di voler utilizzare lo strumento informativo come arma principale della sua dichiarata ripulsa del mondo esterno.
Nel caso di Evan Gershkovich, le ragioni sarebbero ancor più meschine se si trattasse invece, come in quello della campionessa di pallacanestro americana arrestata e recentemente liberata, di disporre di una moneta di scambio per la liberazione di cittadini russi arrestati per ben altri motivi. Confermando peraltro che è soprattutto l’America ad essere presa di mira.
Un comportamento che, soffocando le funzioni della diplomazia pubblica, restringe ulteriormente gli spazi negoziali, in Ucraina e altrove. Riducendo l’eventualità che l’opinione pubblica internazionale si schieri dalla sua parte.
La presidenza mensile di turno russa del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, sotto la direzione dell’ineffabile Lavrov, contribuirà forse ad esporre l’irrazionalità del comportamento del Cremlino e il grado di sostegno internazionale di cui dispone.
Il secondo ‘summit per la democrazia’ appena svoltosi per iniziativa americana non sarà servito ad affermarne urbi et orbi le ragioni, quanto a mantenere vive quelle del liberalismo internazionale, che l’autoritarismo di Mosca intenderebbe smantellare.