Europa redux?

di 21 Marzo 2023

Sulla guerra in Ucraina, si continua a fare il computo delle rispettive responsabilità, azioni e omissioni. Per trovare una qualche via d’uscita, bisogna invece riuscire a guardare oltre.

Attonito, confuso, un Occidente perennemente autocritico continua a chiedersi se, come Mosca sostiene, e in che misura al proprio passato comportamento si possa far risalire quello odierno del Cremlino. L’incriminazione di Putin appena decretata dalla Corte interazionale dell’Aia dovrebbe sgombrare il campo da alcune residue perplessità.

Come se le operazioni di pace, dette ‘umanitarie’, rivolte com’erano a ricomporre Stati disintegrati, per salvaguardare la pace e stabilità internazionali secondo lo spirito se non sempre la lettera del Capitolo VII della Carta di un’ONU paralizzata dal veto russo, potessero essere equiparate a quanto accade oggi in Ucraina!

Il cupio dissolvi nel quale Putin è sprofondato non può comunque risolversi in alcun compromesso negoziale, che altro non farebbe se non incancrenire i rapporti fra i due popoli slavi e l’intera situazione intereuropea.

Sempre più evidente è quindi la necessità di coinvolgere l’intera comunità internazionale (presumendone l’esistenza) nell’impresa di rimettere in sesto l’intero ordinamento internazionale che Putin ha deliberatamente fatto a pezzi. Un compito al quale l’Europa, meglio di un’America ai ferri corti anche con la Cina, potrebbe dedicarsi con maggior convinzione. In ragione della sua natura di unico attore intrinsecamente multilaterale, essenzialmente normativo, aggregativo invece che antagonista.

Aggirando l’ostracismo che Mosca le oppone nel rivolgersi ostentatamente soltanto agli Stati Uniti, l’Unione europea potrebbe operare più incisivamente nel vicinato europeo della Russia: in Georgia, dove la popolazione ha appena riaffermato la sua volontà europeista; in Armenia, vulnerata dal voltafaccia di Lavrov in visita in Azerbaijan; in Moldova, scossa da manifestazioni sobillate dalla Russia; nei Balcani, dove Serbia e Kosovo rimangono ai ferri corti.

In Medioriente, incoraggiando le prospettive di reintegrazione regionale manifestatesi negli ultimi tempi; in Africa, per contenervi le intrusioni di Cina e Russia; in un’America Latina che continua a rimanere avulsa dalla scena internazionale; persino nell’Indo-Pacifico, dove Francia e Regno Unito dispongono di propri avamposti. Questioni tutte dove l’influenza politica dell’Unione, non la sua inconsistente potenza militare, dovrebbe tornare a manifestarsi concretamente.

Affiancandosi a un Macron che continua a presentarsi come alfiere dell’Europa. Non, come si dice, per gallica velleità di ‘grandeur’, quanto piuttosto per la sua storica presenza, appunto, in Medioriente, in Africa, nell’Indo-pacifico. Presentandosi con la Germania come il perno, piuttosto che la locomotiva, dell’azione comune. Coinvolgendo Londra, che la Brexit non ha privato delle responsabilità inerenti alla sua presenza, al pari della Francia, nel Consiglio di Sicurezza.

A Washington, Scholtz e von der Leyen si sono sostanzialmente recati per confermare il consenso dell’intera Unione. La cui politica estera e di difesa è, e resterà, non unica, come il mercato e la moneta, bensì necessariamente intergovernativa, a geometrie variabili a seconda delle esigenze concrete.

Mentre la Germania rimane indecisa sul da farsi, gli Est-europei sono geo-politicamente troppo esposti, e l’Italia rimane interdetta, è a Parigi e Londra che spetta quindi prioritariamente il compito di costituire l’avanguardia di un’Europa chiamata a ripresentarsi credibilmente sulla scena internazionale. Con una propria ‘autonomia strategica’ politica più che militare, rispetto ad un’America diventata riluttante a continuare a togliere le castagne dal fuoco agli altri.

Normalmente poco tenero con l’Unione e con la Francia, l’Economist si è espresso nei seguenti termini: “Un’Europa più robusta, confrontata alla minaccia di poteri autocratici e al rischio di un’eccessiva dipendenza dall’America, necessita di una Francia forte. Macron è oggi uno dei leader più sperimentati. Traboccante di idee, molte delle quali valide, dispone inoltre di una efficiente macchina diplomatica. Nel momento critico attuale, non può permettersi di sbagliare”.

La solidarietà degli altri europei dovrebbe potergli servire a superare le difficoltà di politica interna in cui la Francia periodicamente si dibatte.

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