LONGREAD – Pacifismi degni di miglior causa

di 27 Febbraio 2023

Norberto Bobbio distingueva fra pacifismo ‘passivo’, estraneo, indifferente agli avvenimenti, e pacifismo ‘attivo’, incisivo, propositivo.

Al cospetto di quanto accade in Ucraina, in virtù di una astratta libertà di opinione, i nostri organi di informazione danno largo spazio a persone prive di specifica competenza che danno fiato ai loro disinformati, per quanto nobili, sentimenti. Abbandonandosi a distorsioni di una realtà che compare quotidianamente sui nostri schermi televisivi. L’abecedario minimo dovrebbe essere il seguente.

a) Si invoca genericamente il primo paragrafo dell’Art 11 della Costituzione, secondo il quale “l’Italia ripudia la guerra” (dalla parte nostra: non si può ripudiare quella altrui), senza menzionarne la formulazione  completa che “consente alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni” e “promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

b) Si dà libero corso a distorte riscritture della Storia, come quella che ricorda la promessa di Bush, asseritamente rinnegata, di non allargare la NATO. Trascurando che fu fatta a un Gorbaciov Presidente dell’URSS, per scongiurarne la dissoluzione, un propositum  reso poi vano da Eltsin, Presidente della Repubblica federata russa, assieme a quelli delle altre due Repubbliche slave, Bielorussia e Ucraina. Pacta sunt servanda, rebus sic stantibus, dicevano i nostri progenitori romani.

c) Ragion per cui la NATO e l’UE si sono risolte ad aprire le porte, non, come si insiste a dire, ad ‘allargarsi’, agli Stati eredi della defunta Unione Sovietica, nell’intento di accudire per stabilizzare la risultante transizione continentale. Ci si dimentica del dibattito svoltosi allora sull’inopportunità di una “Fortezza Europa”, che non avrebbe potuto posticipare l’accesso dei questuanti senza rinnegare la propria ragione sociale.

Trascurando le ragioni dei precedenti allargamenti alla Grecia, al Portogallo, allo stesso Regno Unito, che rispondevano tutte alle medesime ragioni; pur appesantendo i meccanismi decisionali interni il cui adeguamento alcuni avrebbero pertanto voluto anteporre. Altro che intenti egemonici; tanto meno aggressivi o provocatori nei confronti di una Russia che ci preoccupammo invece di coinvolgere, prendendo per buone le intenzioni manifestate da Gorbaciov, poi persino dal primo Putin!

d) la fornitura all’Ucraina di armamenti implicitamente difensivi non trasforma quel conflitto in una guerra occidentale ‘per procura’. Si consideri in proposto quanto Roosevelt fece nel 1941 con il programma di ‘affitti e prestiti’ (lend-lease) a favore di Regno Unito, Russia e Cina.

e) Il sistema internazionale incastonato nella Carta delle Nazioni Unite non rappresenta, come sostiene Mosca (affiancata da Pechino), la camicia di forza di un’America unilaterale, deliberatamente egemonica. Il che dovrebbe trovare originaria conferma nel fatto che fu l’America di Roosevelt (e Truman) a liberare la Russia dall’occupazione nazista (e la Cina da quella giapponese), collocando poi ambedue nella ‘stanza dei bottoni’ del Consiglio di Sicurezza, per coinvolgerle nella gestione di un nuovo sistema internazionale, detto ‘liberale’, collaborativo, invece che ancora e sempre antagonistico. 

Il vaneggiamento dei tanti Soloni nostrani, che si lamentano dell’assenza di proposte negoziali, in difetto di un purché minimo segnale di disponibilità negoziale dal Cremlino, ci distanzia non soltanto dai partner e alleati, ma ci rende irrilevanti persino a Mosca, verso la quale vorremmo da sempre accreditarci come interlocutore sensibile e responsabile.

Al termine di un anno di guerra inverosimile, incomprensibile, al centro del continente europeo, si direbbe che la nostra società, astrattamente ‘buonista’, rifiuti di rendersi conto che, sia pur diversamente dalle precedenti versioni, una terza guerra mondiale è già in corso. Seppur non dichiarata formalmente, ne risulta comunque una sfida per l’integrità tanto del continente quanto dell’intero sistema dei rapporti internazionali.

Ufficialmente sbandierato nelle adunate moscovite è un nuovo scisma d’Oriente, nell’affermazione di quel conflitto di civiltà che, nell’indignazione generale, Huntington aveva profetizzato qualche anno fa.

Dopo un lungo, enigmatico silenzio, palesemente interdetto sul da farsi, l’autocrate del Cremlino si è esibito in uno dei suoi soliti coreografici bagni di folla, ribadendo le sue farneticazioni sull’aggressività dell’Occidente, il conflitto di civiltà e la minaccia esistenziale che ne conseguirebbe per la Russia, esaltandone orgogliosamente l’autarchico isolamento, tanto politico quanto economico.

Con la ripetuta evocazione dell’arma nucleare, in funzione intimidatoria piuttosto che deterrente. Oltre che facendo balenare l’annessione delle altre regioni separatiste che occupa in Moldova e Georgia, Stati ai quali l’UE ha concesso lo status di candidati all’adesione. Ostacolandone pertanto le relative prospettive.

Mentre il concetto stesso di vittoria rimane sfuggente, la scena, quotidianamente mediatizzata, può dirsi chiaramente allestita.

Unico ex-impero a non averne accettato la fine, la Russia di Putin pretende una sfera di influenza ‘privilegiata’, esclusiva. Ricostituendo a tal fine in Europa un nuovo muro divisorio, aggiungendovi una spada di Damocle nelle enclave secessioniste di cui dispone ancora in Moldova, Georgia, Armenia, compromettendone il cammino verso occidente.

Dalle segrete stanze del Cremlino non è emerso alcuno spiraglio negoziale, tutt’altro. Accompagnato dalle sguaiate, belluine, sostanzialmente patetiche, dichiarazioni dei suoi propagandisti, Putin è consapevole di essere finito su un piano inclinato, senza vie di fuga né freni inibitori. Il che rende la situazione ancor più imprevedibile, e diplomaticamente ingovernabile.

Recatosi a sorpresa in visita-lampo a Kiev, anche Biden ha ritenuto necessario presentarsi al proscenio, per confermarvi in modo altrettanto spettacolare il sostegno americano. Evitando peraltro accuratamente di cadere nella trappola di quel che, per Mosca, potrebbe rappresentare l’estrema via d’uscita: consistente nel ristabilimento del condominio bipolare sull’Europa, dal quale recuperare lo status di superpotenza (di cui invece da sempre dispone in qualità di membro permanente del Consiglio di Sicurezza)-

Sdegnosamente rifiutata dal Cremlino come interlocutore, l’Europa non può pertanto che seguire la scia, politico-strategica piuttosto che strettamente militare, tracciata da Washington. Tenendo comunque a disposizione il proprio bagaglio normativo, nell’eventualità che la Russia possa alla fine essere ricondotta in quella ‘architettura di sicurezza europea’ (peraltro già impostata nel 1975 con l’Atto istitutivo dell’OSCE) che va lei stessa da anni strumentalmente invocando.

Nella paralisi del Consiglio di Sicurezza, l’Assemblea generale dell’ONU ha chiamato per la terza volta a raccolta l’opinione pubblica mondiale, pronunciandosi a stragrande maggioranza contro l’invasione russa. L’astensione di una trentina di Stati, fra i quali significativamente la Cina, l’India, l’Iran, più che la riluttanza, potrebbe denotare piuttosto il proposito di alcuni di evitare il cristallizzarsi di due schieramenti contrapposti.

All’evidente isolamento della Russia bisognerà comunque alla fine rimediare, a tutela dell’intero sistema internazionale che, invece che riformato come, dopo averlo leso, la Russia pretende, andrà riattivato. Preoccupata della piega che hanno preso gli avvenimenti, la Cina si è decisa ad esporsi, con una presa di posizione (‘position paper’) dal contenuto astrattamente onnicomprensivo, auspicando l’individuazione di un generico ‘concetto globale’ di sicurezza. Compito che non potrà essere affidato che alle Nazioni Unite.

Nel 1958, il Presidente Eisenhower, in un messaggio al suo collega Bulganin affermò che “il fulcro della questione sta nella definizione dei termini che possono garantire il mantenimento della pace e nella fiducia che ciascuno di noi può ragionevolmente riporre nell’osservanza di tali termini… Non potremmo forse andare anche oltre e consolidare l’autorità delle Nazioni Unite?”.

For a visitor to his London Headquarters Lt. Gen. Dwight D. Eisenhower in command of U.S. Army forces in the European War Theater, illustrates a point with one of the maps covering the office walls July 17, 1942. (AP Photo)

Nei medesimi termini si era paradossalmente espresso lo stesso Putin nell’ormai famosa sessione della Conferenza sulla sicurezza di Monaco del 2007 quando, ribellandosi all’asserita pretesa di NATO e UE di dettare unilateralmente le regole del gioco, invocò un ritorno al contesto multilaterale delle Nazioni Unite.

In ambedue le circostanze, le cose non andarono in quella direzione. È quella invece l’unica via d’uscita dall’imbuto nel quale la Russia si è cacciata. L’unica che può al contempo salvare la faccia di Putin e rimettere in carreggiata il sistema internazionale.

È in momenti come questo che l’asino italiano continua purtroppo a cascare. In un labirinto politico-militare-diplomatico apparentemente inestricabile, l’Italia si dimostra ancora una volta astrattamente pacifista, incapace di distinguere. Ma quel che è peggio, nonostante la ferma presa di posizione della Primo Ministro, è che si riveli rissosa, faziosa, amica di tutti, quindi di nessuno, incomprensibile e pertanto sterile sul piano internazionale, oltre che nel processo di maturazione civico che le circostanze dovrebbero invece suscitare.

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