L’eterna commedia dell’arte

di 15 Febbraio 2023

La cartina di tornasole della guerra alle porte di casa nostra ha rivelato la reale consistenza di una nazione che, cresciuta al riparo della NATO e dalla Comunità europea, non ha mai ritenuto di doversela vedere con la ‘grande politica’ internazionale.

La coscienza della nazione continua ad adagiarsi fra un pervasivo antiamericanismo e un’indulgenza per l’atteggiamento di Mosca, scorie di un’epoca che la Storia dovrebbe aver superato. Un’equidistanza, che alcuni definiscono ‘equivicinanza’, parente stretta dell’indifferenza, che ci impedisce di formulare con precisione quell’interesse nazionale al quale la nostra Primo Ministro fa orgoglioso, astratto, riferimento.

All’eterna nostra Commedia dell’arte, manca però oggi un Goldoni. Sorprende lo spazio accordato dagli organi d’informazione a un filologo della Grecia antica che assolve Stalin, a un fisico teorico che si picca di strategia militare, uno storico dell’arte che manipola la Storia, un diplomatico di lungo corso che continua ad attribuire all’Occidente ogni responsabilità. Una rilettura della Costituzione, affidata ad un popolare comico, ne mette in rilievo l’art. 21 sulla libertà di espressione, travisando l’art.11 sulle modalità di tutela della sicurezza nazionale.

Al generale marasma si aggiungono infine le farneticazioni di un anziano ex Capo del governo, dalla professata amicizia con l’occupante del Cremlino, degna di miglior causa. Mentre ad un’ora antelucana viene relegata l’allocuzione del Presidente ucraino ad un’opinione pubblica incollata ad una sguaiata competizione canora. Più che della coerenza interna, ne va della nostra credibilità internazionale. Relegando il teatrino nazionale ai margini del palcoscenico internazionale.

L’atteggiamento spavaldo, stizzito, del nostro Primo Ministro a Bruxelles, invece di ostentare fermezza e determinazione, finisce col rivelare piuttosto l’assenza di un consenso nazionale al cospetto di avvenimenti che stravolgono lo scenario continentale. La polifonia democratica esige una direzione d’orchestra, a evitare che si traduca in una cacofonica riluttanza ad affrontare le responsabilità che dovremmo assumerci.

Da troppo tempo, dai tempi della DC, la politica oscura all’opinione pubblica i termini delle questioni internazionali nelle quali siamo immersi, mantenendola in uno stato confusionale. Ne vanno però oggi di mezzo i due attracchi, atlantico ed europeo, della politica estera postbellica dell’Italia.

Sul primo, la nuova Primo ministro aveva subito messo l’accento, ma è ora contraddetta dai sempre più espliciti tentennamenti dei suoi alleati. Del secondo ha invece subito contestato impostazioni e formule; in un euroscetticismo che continua a caratterizzare la ‘seconda repubblica’.

L’imputazione rivolta a Francia e Germania di ledere il consenso a Ventisette contrasta non soltanto con la funzionalità delle ‘geometrie variabili’ della politica estera e di sicurezza dell’Unione, ma con la stessa perenne ambizione nazionale di ‘sedere’ in ogni incontro internazionale di vertice. Il nostro Primo ministro non soltanto trascura la rilevanza del Trattato dell’Eliseo, confermato da quello di Aquisgrana, ma rilutta ad affiancarvi quello del Quirinale.

 “Se si ascoltasse l’Italia, che ha antenne più sensibili, forse l’Europa potrebbe ottenere di più”, ha detto un esponente governativo. In politica estera, però, la convinzione di avere ragione non può bastare.

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