E la politica estera?

di 31 Gennaio 2023

“In Italia, va diffusa la cultura della difesa”, ha detto in Parlamento il Ministro Crosetto. La necessaria premessa è tuttavia una politica estera coerente, corrispondente all’attuale più intricato stato dei rapporti internazionali.

Che ne è della politica estera italiana? In una nazione che dimostra di non voler uscire dal suo stato adolescenziale, riluttante a ‘crescere’; indifferente più che pacifista; neutralista, inconsapevole, distratta, dal perenne ‘piede di casa’.

Significativo è che il Parlamento abbia confermato i nostri rifornimenti militari all’Ucraina, a larga maggioranza ma al termine di un dibattito alquanto contraddittorio. La loro consistenza rimane comunque ‘secretata’, presumibilmente a evitare il riproporsi di antiche polemiche politiche.

È come se non si osassero dire pubblicamente le cose come stanno. Sintomatico è anche il polverone suscitato dalla programmata allocuzione di Zelensky al festival canoro nazionale, che scavalcherebbe l’ambito parlamentare, rivolgendosi direttamente alla vasta platea popolare di Sanremo.

Sbandierati come iniziative coraggiose, i viaggi governativi in Nord Africa, quelli previsti a Berlino, ad Ankara, a Kiev (e Parigi?), salvano la faccia, non la sostanza dei nostri rapporti con l’estero. Iniziative estemporanee, rivolte ad assicurarci i rifornimenti energetici, a contenere l’immigrazione, a tutela di specifici interessi settoriali, non esprimono l’opportuna più ampia visione politico-strategica da far valere anche a Bruxelles.

Dichiariamo fedeltà ai legami transatlantici ed europei. Ma rimaniamo ai margini, tributari della politica altrui, non volendo esporci più di tanto. Preferiamo il piccolo cabotaggio di una sopravvivenza mascherata da ‘continuità’.

Particolarmente evidente è lo stato precario dei nostri rapporti con la Francia che, pur essenziali, rimangono diffidenti, inconcludenti. Rispetto al rilancio appena operato da Macron dei rapporti con la Germania, persino con la Spagna, il Trattato del Quirinale concluso due anni fa è rimasto asfittico.

Il fatto è che l’Italia rilutta a prendere coscienza delle proprie responsabilità, a dotarsi del peso specifico necessario per incidere nei rapporti internazionali, come sarebbe nell’interesse degli stessi nostri partner. Disperdendoci piuttosto in una serie di annose irrisolte questioni interne.

In un momento storico di radicali trasformazioni, manca quella politica estera, consapevole e condivisa, che nell’analogo periodo del primo dopoguerra aveva fissato gli indispensabili ancoraggi esterni. E che la pace invocata nell’auspicabile nuovo dopoguerra ucraino nuovamente presupporrebbe.

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