(Qoelet, 8, v.8)
27 gennaio: Giornata della Memoria. Sono tanti, da che è stata istituita la ricorrenza, gli eventi, i dibattiti, gli approfondimenti degli storici su quanto avvenuto nella nostra Europa negli anni Trenta e Quaranta del Novecento. In tutta onestà, talvolta mi attanaglia un senso di sconforto, perché mi chiedo: a cosa serve ricordare la tragedia dei campi di sterminio nazisti quando oggi abbiamo campi di concentramento in Africa, quando in Iran i manifestanti vengono arrestati, torturati e uccisi, quando nel cuore della nostra civilissima Europa si rivedono le trincee, le fosse comuni, il filo spinato e si sentono raccontare le violenze, gli stupri, le deportazioni di massa?
Se fossi una sopravvissuta, cosa potrei pensare della nostra umanità? Non sembrino queste mie parole vuote e di circostanza: esse nascono dalla constatazione di quei fatti cui tutti, oggi, purtroppo, assistiamo. Come donna di fede so bene che l’uomo, pur voluto da Dio, pur da Lui creato per un libero atto d’amore, pur redento dal sacrificio del Figlio, porta con sé le conseguenze nefaste dell’atto della primordiale superbia.
Eppure, non voglio e non posso arrendermi e credere che la superbia abbia la meglio. Voglio invece credere che la cultura, la conoscenza, la fede possano fare di più, possano avere la meglio sulla barbarie. Che per un Caino c’è un Abele, che per un Giuda c’è un Pietro, che per un Riina c’è un Livatino che prega per i suoi uccisori. Perché, però, il bene prevalga, occorre indagare le cause del male affinché non abbiano a reinnescarsi. Del resto la storia è fatta dagli uomini che rimettono in atto sempre le stesse dinamiche. Corsi e ricorsi storici. Ricordiamo: Mussolini, prima, Hitler, poi, arrivarono al potere per vie legittime, ossia eletti dai loro concittadini. Nessun colpo di Stato, nessun assalto. E perché? Perché seppero sfruttare il malcontento delle popolazioni, la crisi economica postbellica, il desiderio di rivalsa (basti rileggere le clausole del trattato di Versailles) dei loro cittadini, dai reduci disoccupati ai ricchi borghesi.
La violenza non nasce dal nulla. E dal desiderio di rivalsa alla tragedia di Dachau il passo fu breve. Ce ne stupiamo? No. C’è da rabbrividire? Certamente. Soprattutto, occorre che ognuno faccia la propria parte. La politica ha un ruolo fondamentale in tutto questo: le forze di Governo nel creare un clima di collaborazione, le forze di opposizione nel dimostrare un senso di responsabilità e di lealtà istituzionale. Se la politica offre il buon esempio, i cittadini faranno la loro parte. Un pensiero poi va inevitabilmente al mondo della scuola: la giornata della Memoria non si risolva nella visione di un film o di un documentario dalle immagini raccapriccianti.
Occorre andare oltre l’emozione del momento. Occorre, ogni giorno, da settembre a giugno, lavorare per far nascere nei giovani il gusto delle cose belle, dei sentimenti costruttivi, della responsabilità, della conoscenza. Forse le leggi razziali del ‘38 hanno attecchito perché la scuola italiana, asservita al potere, non ha potuto formare giovani a porsi delle domande: nessuno nella classe della signora Segre si è chiesto il motivo dell’assenza della loro compagna. Certamente è facile per noi parlare, per noi che siamo nati e cresciuti in uno stato democratico. Dall’altra parte, però, occorre lavorare perché le cause della violenza e della discriminazione vengano sradicate. Detto diversamente: povertà materiale e povertà culturale sono il terreno fertile in cui attecchiscono sistemi di sopraffazione, che si chiamino fascismo, comunismo, nazismo o cosa nostra. Ognuno compia la propria parte, nel piccolo come nel grande. E allora il ricordo delle tenebre del passato sarà la luce per il presente.