Un’introspezione dal passato:
“Libertà, una di quelle parole detestabili che contengono un valore più che un significato, che chiedono più di quanto forniscano una risposta … Non vi è nulla di più fecondo di quel che consente alle mentalità di dividersi e di sfruttare le loro differenze, non essendovi alcun punto di riferimento comune che li obblighi a collegarsi …
[Finora] abbiamo voluto che vi fosse una cosa e non un’altra; gli uni e gli altri non cercavano altro che quel che avevano già trovato … Nella rigorosa purezza del pensiero astratto, non esistono doppioni; non vi è che un modello, nessuna materia che consenta la pluralità… Uno stato di oscillazione o di pari possibilità prima dell’atto è l’unica situazione che conti … Ogni speculazione esige che colui che la pratica si metta lui stesso in causa … Appena entriamo in azione (o meglio nel pensare l’azione), ci troviamo invece immersi in un’orribile amalgama di determinismo e casualità … Ogni considerazione sulla ‘libertà’ deve [quindi] condurre all’esame dei relativi impulsi e costrizioni.
… In politica, la libertà è diventata un ideale, un fermento carico di minacce, che contrappone gli uni ad altri … Se lo Stato è forte, ci schiaccia; se è debole, periamo … Ogni politica, anche la più grossolana, presuppone un’idea dell’uomo, poiché si tratta di disporne, di servirsene e persino di servirlo.
[Ma] ci rendiamo conto che il perimetro del nostro spazio di libertà è mutevole, una pelle di zigrino… Non vi è alcun progresso che non si risolva in servitù”.
(Paul Valéry nel suo “Fluttuazioni sulla libertà” del 1938, un anno prima del collasso dell’intera Europa).