Un anno da lasciarci convintamente alle spalle, quello appena trascorso. Abbiamo toccato il fondo, verrebbe da dire, non potrà che andar meglio. Forse.
La Storia non è purtroppo da considerarsi, come credevamo, ‘finita’: continua invece più che mai a dover essere accudita. A livello tanto nazionale quanto internazionale, siamo tutti in un ‘tempo sospeso’, interdetti al cospetto di situazioni impreviste, inattese, che sfuggono al controllo dei singoli governi. Non di ‘uomini forti’ si sente la mancanza, bensì di leader esplicitamente ‘visionari’. Che sentano cioè la responsabilità non soltanto di gestire il presente, ma di immaginare il futuro. Di indicare il cammino da percorrere assieme.
Un futuro che non è da inventare, bensì da costruire, riscoprendo il passato, traendone ammonimento e stimolo. E’ come se, dopo tanti anni di beata incoscienza, dovessimo riscoprire le ‘quattro libertà’ menzionate da Roosevelt a sostegno dell’intervento americano nel devastante secondo conflitto mondiale: dalla pura e dal bisogno, di espressione e di credo. In altre parole, tornare ad sostenere i diritti alla sicurezza, al benessere, alla democrazia e alla visione ideale. E’ di buon governo che, in sostanza, si dovrà ancora e sempre trattare.
Non della pretesa esportazione della democrazia, bensì dell’affermazione di un pluralismo democratico negli stessi rapporti fra gli Stati. Non di multipolarismo, reciprocamente esclusivo, bensì di multilateralismo partecipativo, nella diversità delle posizioni e aspirazioni. Ad evitare il diffondersi del relativismo, la sospensione del giudizio e quindi dell’azione che ne consegue. Pessimista è chi guarda, è stato detto, ottimista chi agisce.
Un’inclinazione all’indifferenza, a un realismo pervaso di cinismo, pervade invece ancora le nostre menti. Da noi, vi è ancora chi, per contestare le sanzioni a chi le merita, afferma che “in ogni guerra, la priorità è non spararsi sui piedi”; chi, rivolgendosi a noi stessi, argomenta che bisogna “indagare su come la si prepara, cioè attraverso il commercio e l’accumulo di armamenti”; chi esorta a “non dimenticare il frame”(cioè, in buon italiano, il contesto), allargandolo a dismisura fino a diluirne il significato; persino chi denuncia ”gli ipocriti capi dell’Occidente che giocano alla guerra mondiale, dicendo di voler difendere valori e aggrediti”! Un atteggiamento mentale rinunciatario.
Nel suo ‘Speranza contro speranza’ appena ripubblicato, Nadezda Mandelstam ricordava come, nella Russia di Stalin, “eravamo tutti pronti al compromesso: tacevamo nella speranza che non uccidessero noi, ma il nostro vicino”.
Senza mezzi termini, sugli sconvolgimenti della guerra in Ucraina, si è opportunamente pronunciato il nostro Presidente della Repubblica nella sua allocuzione di fine anno, nel riferirsi alla “folle guerra”, la cui “responsabilità ricade interamente su chi ha aggredito e non su chi si difende, o su chi lo aiuta a difendersi”.
“Dobbiamo imparare a leggere il presente con gli occhi del domani”, ha esortato.