La Cina è più vicina

di 21 Novembre 2022

Riunitesi a Bali, le nazioni più considerevoli, per popolazione, influenza politica e consistenza economica, attorniate da altri Stati del ’terzo mondo’, hanno preso comune coscienza delle principali attuali questioni mondiali, verso la cui soluzione dovrebbero convergere.

Significativamente assente il solo Putin, riconosciutosi così parte del problema più che dei possibili rimedi (l’apparizione di Lavrov ha suscitato più perplessità che interesse). In sostituzione di un comunicato congiunto, il Vertice ha comunque emesso delle dichiarazioni che fanno finalmente stato della generale riprovazione del comportamento del Cremlino. Estromessa dal G8, è come se la Russia lo fosse ora dal G20.

L’avvenimento più rilevante, svoltosi proprio al centro del continente asiatico, è stato quindi il prolungato incontro, finalmente in presenza, fra i Presidenti americano e cinese, diventati gli interlocutori essenziali per rimettere in sesto i rapporti internazionali. A scapito di una Russia che se ne è palesemente estromessa.

Nel momento in cui l’America si ritrae dal diretto coinvolgimento nelle principali crisi internazionali, e la Cina esige il riconoscimento di uno status di ‘superpotenza’, si deve ritenere che Biden e Xi abbiano discusso dell’agenda e delle appropriate modalità per rimediare al loro sopravvenuto malfunzionamento. A danno degli interessi della stessa Cina. Riproponendo peraltro l’America come cardine politico e diplomatico.

Durante il loro incontro, è stato detto, Biden e Xi, pur affermando i rispettivi ‘interessi essenziali’ e ribadendo le loro ‘linee rosse’, hanno concordato sulla necessità di evitare una nuova, seppur diversa, guerra fredda, per ‘gestire la competizione’ tramutandola in cooperazione.

Non proprio un ‘Biden in China’ analogo a quello di Nixon a Pechino di esattamente cinquant’anni fa, ma dal significato parimenti rivolto ad aggirare il confronto con Mosca, irrigiditasi in Ucraina. Nel tracciato di quel ‘pivot to Asia’ che Obama aveva indicato prima delle devastazioni di Trump. Le cui più estese implicazioni sul piano globale potranno ora essere verificate.

Si tratta infatti di rimettere in carreggiata l’intero sistema dei rapporti internazionali. Nel momento in cui altri essenziali attori, dal Regno Unito al Brasile, ad Israele, all’Unione europea (all’Italia), oltre all’America e alla Cina, appaiono attraversare una fase di introversione, divisi come sono al loro interno e interdetti sul da farsi, è infatti dal rapporto fra Washington e Pechino che può emergere l’innesco di un mondo dalle responsabilità condivise.

L’emergente rapporto bipolare fra le due nuove superpotenze, rafforzate al loro interno rispettivamente dall’esito delle ‘elezioni di medio termine’ e del XX Congresso del Partito, potrebbe pertanto tradursi non, come si teme, in un nuovo antagonismo, bensì in un rapporto destinato ad affrontare con maggior pragmatismo le questioni geopolitiche del momento. In un più sensato equilibrio fra le garanzie di stabilità e sicurezza fornite dell’America e le lusinghe economiche prodigate della Cina.

Come ai tempi di Kennan rispetto all’Unione Sovietica, si tratterà semmai di ‘contenere’ l’assertività economica e militare di un regime che, pur sostituendo giacca e cravatta alla divisa maoista, ha adottato atteggiamenti autoritari di stampo marxista (incluso il simbolo della falce e martello). Nei confronti di Pechino come di Mosca, l’ostacolo da superare rimane però il vallo dietro al quale i loro sovrani si sono isolati, restringendo le occasioni di utili contatti diplomatici.

Una situazione che appare comunque più promettente, nella quale anche l’Europa dovrà impegnarsi a trovare una propria collocazione.

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