La manifestazione nazionale per la pace, prevista a Roma per il 5 novembre, va raccogliendo adesioni di diversa provenienza, al dichiarato comune scopo di dare fiato alle ipotesi di una qualche pace in Ucraina.
Le relative premesse, si va già sostenendo, dovrebbero consistere in una sospensione delle forniture militari all’Ucraina e delle sanzioni alla Russia. Come se la cosa non riguardasse più di tanto l’intera Europa. Collateralmente, si dice però, andrebbe attivato un ‘sistema di sicurezza europeo’. Trascurando quello disposto quasi cinquant’anni fa a Helsinki, al quale si deve il superamento del confronto Est-Ovest, oggi tragicamente ripreso.
Non ci si rende conto di quanto, dopo lo stallo della sua ‘operazione militare speciale’, lo scopo che Putin si prefigge, ormai manifesto, è di riportare l’America in Europa. È all’America infatti che il Cremlino esclusivamente oggi si rivolge, nell’evidente intento di ristabilire il duopolio continentale della Guerra fredda. Nel ristabilimento del quale Putin identifica lo strumento per recuperare alla Russia il perduto status di superpotenza.
Incurante del fatto che tale status le compete per la sua condizione di membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Omettendo di assumersene le corresponsabilità, Putin accusa invece le Nazioni Unite di essere il marchingegno per una sopraffazione occidentale, rivolta a distruggere la Russia. Che sta invece distruggendosi da sé.
In Ucraina, Putin intende mettere alla prova lo stesso grado di coesione del rapporto fra le due sponde dell’Atlantico. Ne va pertanto di mezzo quella nascente ‘autonomia strategica’ dell’Unione europea che il Presidente francese Macron aveva rivolto all’America, sfidando al contempo Mosca ad un ‘dialogo esigente’. La risposta è stata l’aggressione all’Ucraina, che mette alla prova l’efficacia di quella ‘politica estera e di sicurezza comune’ che l’Unione persegue, proprio per emanciparsi dai condizionamenti della Guerra fredda.
Supporre che possano essere piuttosto la Turchia o la Cina a fungere da mediatori è smentito dalle risultanze di questi giorni. Nel loro recente incontro ad Astana, Erdogan e Putin hanno parlato di gas e grano, non di Ucraina; e al Ventesimo congresso del Partito, Xi non ha menzionato né Russia né Ucraina.
Anche l’Italia è pertanto chiamata a fare i conti con la disgregazione in corso della situazione continentale. Ma la necessaria catarsi tarda a manifestarsi in un paese che rimane inconsapevole della posta in gioco.
Un paese incapace di combinare le weberiane etiche delle convinzioni e delle connesse responsabilità non si rende conto delle conseguenze del suo inveterato ‘buonismo’.
Alla lunga, il non voler avere nemici ci impedisce di avere amici.