L’incontro a Samarcanda fra i membri della “Organizzazione di Cooperazione di Shanghai” ha dimostrato non, come alcuni paventavano, l’esistenza di un fronte comune di paesi asiatici contro la pretesa egemonia mondiale occidentale, quanto piuttosto la diversità del loro atteggiamento nei confronti dell’avvenuta disarticolazione dei rapporti internazionali.
Invece di consolidare quella ’identità euro-asiatica’ che la Russia di Putin oppone all’Europa per aggrapparsi alla Cina, l’incontro appena svoltosi nella magnifica città di Tamerlano ha evidenziato quanto l’autocrate del Cremlino sia ormai nudo, spoglio cioè del più ampio sostegno internazionale indispensabile per recuperare il prestigio e l’influenza perduti.
A Samarcanda, il peso della guerra in Ucraina ha infatti schiacciato Putin sulla difensiva nei confronti dei suoi vicini asiatici, inducendolo persino a dichiarare di “comprendere” le loro preoccupazioni; e ad esprimere un generico apprezzamento per la “posizione equilibrata” adottata da Pechino sul conflitto.
È la figura di Xi che ha invece troneggiato. Dietro alla sbandierata ‘amicizia strategica a tutto campo’ con la Russia, ha ostentato un sovrano distacco. Sfruttando il campo libero lasciatogli dal suo ‘associato’, ha dichiarato che la Cina è disposta ad ”impegnarsi con la Russia per dimostrare responsabilità di grandi potenze, svolgere un ruolo di primo piano, iniettare stabilità ed energia positiva in un mondo caotico”.
Saggio proposito che, all’immediata vigilia dell’annuale Assemblea Generale dell’ONU, i due membri permanenti del Consiglio di Sicurezza sinora latitanti dovrebbero finalmente dimostrarsi disposti a svolgere. per instaurare quel sistema internazionale, diverso dal deprecato unipolarismo occidentale, che invocano in astratto.
Posizionandosi così più convincentemente rispetto agli stessi stati riuniti a Samarcanda: India e Pakistan, Armenia e Azerbaijan, Tajikistan e Kirghizistan, che rimangono ai ferri corti; la Turchia, membro della NATO ansioso di giocare a tutto campo; l’Iran il cui accordo sul nucleare va riattivato con le cure di tutti e cinque i suoi originari negoziatori esterni. Molti dei quali si sono associati a quanti, in sede ONU, si sono astenuti dal prendere posizione a favore di Mosca, evidenziandone ulteriormente l’isolamento internazionale.
Delle questioni regionali aperte, in particolare dell’Afghanistan, che si sappia, a Samarcanda non si è parlato. A conferma di quanto si sia trattato di un mero palcoscenico politico. Il vertice ha semmai rivelato quanto l’associazione fondata nel 2001 come gesto di sollecitudine di Pechino verso Mosca, piuttosto che assisterla nel mantenere la presa sui nuovi Stati dell’Asia centrale, l’asso è servita, come prevedibile, a consolidare la presenza della Cina in una regione che la sua ‘nuova via della seta’ si apprestava ad attraversare.
(Da quelle parti, in Kazakhstan, in contemporanea con una visita di Stato del cinese Xi, si era appena recato anche Papa Francesco. Per un non trascurabile vertice interreligioso, a mo’ di contraltare rispetto al riproporsi dei rapporti di forza. In un mondo che pare aver perso la bussola, le esortazioni dei convenuti, comprese quelle del Pontefice, rispetto a quelle degli auto-dichiaratisi
‘grandi’, hanno avuto il non inutile pregio dell’ovvia banalità.)