Il cubo di Rubik del Medioriente

di 25 Luglio 2022

Per quanto preponderante, la crisi ucraina non può oscurare altre situazioni critiche nel nostro immediato vicinato, che ne sono peraltro pesantemente influenzate. Dopo una prolungata relativa incuria, il confronto fra Mosca e Washington torna al proscenio anche sulla tela lacerata del Medioriente; con un’Europa che rimane alla finestra.

A Tel Aviv e Gedda, Biden si è gettato alle spalle l’avversione nei confronti dell’Arabia Saudita per ritesservi la tela multilaterale: sostenendo da un lato il periclitante governo israeliano (e la causa palestinese) e dall’altro gli ‘Accordi di Abramo’ fra Israele e i paesi del Golfo, un incontro al quale si sono associati la Giordania, l’Egitto, il Kuwait e l’Irak. Al che Putin, a Teheran, ha immediatamente risposto resuscitando l’eterogeneo gruppo ristretto con Iran e Turchia formato al momento dell’intervento russo in Siria. Un rapporto multi-bilaterale, le cui altisonanti dichiarazioni anti-americane di circostanza non possono nasconderne l’inconsistenza dimostrata in Libia, nel Caucaso, anche in Siria.

In altre parole, mentre l’America riprende a coinvolgersi nelle dinamiche regionali, la Russia, schierandosi con Teheran, rischia di compromettere i suoi rapporti con il mondo arabo. Per Mosca, si tratta soprattutto di petrolio, di grano, di sanzioni, persino di droni, argomenti di per sé non marginali, ma dai quali non traspare una strategia complessiva nei confronti di un mondo arabo incapace di provvedere a sé stesso, ancora e sempre succube delle mire altrui.

Né pare che la Turchia, nella sua condizione di membro della NATO e detentrice delle chiavi del Mar Nero, intenzionata a ritagliarsi una propria sfera di influenza regionale, riesca a presentarsi come mediatrice.

Precarie appaiono pertanto le prospettive di ripresa dei negoziati per il rinnovo dell’Accordo sul nucleare iraniano che, avvalendosi del concorso di tutti i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (oltre che dell’Unione europea), dovrebbe poter rappresentare la sezione aurea per la ricomposizione di un Grande Medioriente che fatica a stabilizzarsi.

Sottraendolo alla logica del confronto fra sunniti e sciiti, contenendo le ambizioni egemoniche dell’Arabia saudita, estraendo l’Egitto dalla sua prolungata emarginazione, coinvolgendovi più costruttivamente la Turchia; senza escludere la Russia, legittimamente cointeressata. Far sì, in altre parole, che tutti gli attori mediorientali, attuali o potenziali, prendano coscienza delle loro specifiche anche se diverse responsabilità.

Anche in Medioriente, andrebbe riaperta la strada alla diplomazia prima che, come in Ucraina, la situazione sfugga a tutti di mano. Accantonando gli irrigidimenti su questioni di principio, la contrapposizione fra democrazia e autocrazia, fra difesa dei valori e pragmatismo, fra idealismo e Realpolitik, fra il tattico e lo strategico. Nella combinazione fra esigenze a breve e prospettive a più lungo termine.

Per riuscire finalmente a ricomporre il complicato ‘cubo di Rubik’ mediorientale.

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