Comunque vada a finire, la Russia ha perso; in termini se non altro di reputazione e conseguente influenza internazionale. Novello Sansone, Putin ha però gravemente lesionato il tempio dei rapporti internazionali, europei e globali. L’«Economist» segnala quanto può aver alterato persino la tenuta del regime di non-proliferazione nucleare.
In Ucraina, nella migliore delle ipotesi, si tornerà a una tregua armata, la medesima di otto anni fa, quando la Crimea fu annessa e il Donbass occupato. Ma la situazione continentale si è irrigidita: alla pretesa russa di neutralizzare il suo vicino, come se fosse lui l’aggressore, ha risposto l’adesione di Finlandia e Svezia alla NATO; e la Danimarca ha reintegrato la politica di difesa europea. Il Regno Unito si impegna unilateralmente a proteggere sin d’ora gli scandinavi che si disfano del loro non-allineamento, e i Baltici non fanno sconti al Cremlino, mentre Francia e Germania insistono nella loro disponibilità negoziale, e l’Italia si dibatte in un’ostinata equidistanza. Per non parlare di Orban.
Alcuni vi vedono la disintegrazione dell’Europa, antico proposito dell’Unione sovietica nel quale la Russia continua a confidare. Fedele alla sua configurazione, l’Europa invece semmai diversifica il proprio atteggiamento nei confronti di un irresponsabile coinquilino. La patetica irrilevanza dell’Unione, e dei suoi autoproclamati ‘operatori di pace’, è dovuta al fatto che il Cremlino li disdegna platealmente, rivolgendosi soltanto a Washington, riproponendogli il condominio bipolare sul Vecchio continente.
Non di persistenti dissensi nei rapporti transatlantici, si deve pertanto parlare, bensì della perdurante distinzione delle rispettive funzioni, fra la deterrenza militare che continua ad essere affidata agli uni, e la distensione alla quale gli altri si affidano, nel perseguimento di una sicurezza continentale complessiva. Una ripartizione dei compiti alla quale le due parti si sono attenute sin dai tempi dell’Ostpolitik e dell’Atto Finale di Helsinki che ne è conseguito, e che il comportamento del Cremlino ha ora rinnegato. Compromettendo quella ‘nuova architettura di sicurezza’ che Mosca aveva nuovamente preteso proprio alla vigilia della sua aggressione.
Riportandoci alle condizioni dell’immediato dopoguerra; quando l’Italia si schierò con convinzione dalla parte in cui ha poi potuto risollevarsi e prosperare. Va purtroppo invece diffondendosi la convinzione di un’acritica nostra sottomissione all’America, con l’aggiunta dei sacrifici economici che siamo chiamati a sobbarcarci in una contesa che consisterebbe in un confronto per procura fra America e Russia, di cui l’Europa sarebbe la vittima designata.
Le ripercussioni sugli uni e sugli altri sono ovviamente diverse, il che dimostra semmai la necessità di un comune denominatore che soltanto Bruxelles può fornire. Per estrarsi dalla morsa di una rinnovata Guerra fredda, l’Europa dovrebbe dedicarsi alla ricomposizione del più ampio ordinamento internazionale che Mosca ha gravemente vulnerato. Un compito per il quale soltanto l’Europa, unico attore costituzionalmente multilaterale, avrebbe le carte in regola per adoperarsi. Rivolgendosi al più vasto mondo di quanti sono rimasti finora ai margini di una contesa le cui ripercussioni non sono più confinate al Vecchio mondo.
L’Italia si perde invece nei suoi soliti distinguo, amici di tutti e pertanto di nessuno. Una situazione nella quale il Presidente della Repubblica ha ritenuto di dover intervenire con fermezza, a sostegno della pari fermezza del Primo Ministro di un governo sgangherato. Al quale è difficile che le elezioni riescano a porre rimedio. Lasciandoci in balia delle decisioni altrui.