A Washington

di 9 Maggio 2022

Draghi va finalmente a Washington. Un viaggio che presenta molte analogie con quello di De Gasperi nel 1947. Dovrà anche lui presentare un’Italia ideale, della quale non potrà però più a lungo dirsi garante.

Per ora, ha infatti evitato di caricarsi del peso di un dibattito parlamentare che, nell’imminenza di elezioni amministrative e poi politiche, avrebbe gravemente minato l’autorevolezza di cui, a titolo personale, ancora gode.

Sappiamo già come andrà a finire: dichiarazioni di fedeltà atlantica, solidarietà europea, impegno anche militare in Ucraina. La linea è stata chiaramente tracciata anche dal Presidente della Repubblica, travolgendo lo stesso Ministro degli Esteri. Il che, nell’ennesima campagna elettorale, consente paradossalmente alle formazioni politiche di smarcarsi, in un pacifismo di maniera, che sconfina in un neutralismo nichilista.

Dalle colonne del Corriere, Antonio Polito osserva quanto il ‘fattore Z’, simbolo dell’invasione russa dell’Ucraina, ricalchi l’antico ‘fattore K’ del PCI, nel continuare a contaminare la politica italiana. Non il solo professor Orsini (docente di sociologia del terrorismo, che dovrebbe quindi semmai spiegarci che cosa muove Putin), ma personalità affermate (da Sergio Romano a Carlo De Benedetti) sono andate ad ingrossare le fila dei populisti, da Conte a Salvini, che vorrebbero un distanziamento dell’Italia (e dell’Europa) dall’America. Proprio il risultato che l’URSS, e ora la Russia di Putin, persegue dai decenni della Guerra fredda!

Indicativo è che, da noi, non altrove in Occidente, ci si vada chiedendo quali siano le intenzioni, persino ‘gli scopi bellici’, di Biden. All’America, ancora e sempre, spetta di rispondere per le rime all’arroganza di Putin. Ma, contrariamente a quanto i nostri vanno sommariamente argomentando, non di guerra per conto di Washington, di una rinnovata contesa ‘per procura’, si tratta, quanto piuttosto di una riedizione delle condizioni di ottant’anni fa!

A quella medesima epoca, che vide l’America e la Russia alleati, Putin si rivolge oggi per ammantarsi dell’assurdo pretesto di una lotta contro il nazismo, mentre Bidensi appella alla rooseveltiana definizione dell’America quale “arsenale della democrazia”. Accordando all’Ucraina finanziamenti, armi e intelligence,secondo la formula del ‘lend-lease’ (prestiti e affitti) che Franklin Roosevelt adottò nella speranza, appunto, di rimanere fuori dal conflitto europeo.

Non si tratta soltanto di identificarci congiuntamente nella strenua volontà del popolo ucraino. Che non va peraltro travisata:nell’insistere nella richiesta di tornare alla situazione precedente al 24 febbraio, Zelenski non ha menzionato la questione della Crimea, la cui annessione alla Russia il Segretario della NATO, rispondendo ad una specifica domanda, si è limitato a ricordare di non poter riconoscere (non diversamente dall’occupazione sovietica dei Baltici).

 È nel comune impegno a tutela dell’integrità del sistema internazionale, in Europa e di conseguenza nel più nel vasto mondo, che l’America si trova ancora una volta costretta a venire in soccorso dell’Europa. Per la perdurante assenza della ‘autonomia strategica’ che da qualche tempo Bruxelles va sbandierando. La crisi in Ucraina ne espone la necessità, non la disponibilità, che non potrà comunque essere che di ordine politico, certamente non militare, per l’assenza della necessaria massa critica comunitaria.  

Abbiamo scoperto che l’Ucraina è sempre stata Europa, e pertanto che, difendendo l’Ucraina, difendiamo l’Europa. E che l’Unione europea, piuttosto che l’America, ha le carte in regola per affrontare, a tempo debito, l’opera di reintegrazione continentale che Putin ha tragicamente sconvolto. Un’Europa costretta dalle circostanze a rimanere per ora in disparte, seppur sempre a disposizione. In una divisione dei compiti con gli Stati Uniti, che nell’applicazione delle sanzioni trova la sua sintesi.

Nella giornata odierna, a testimonianza dei due diversi percorsi seguiti dai vincitori della guerra contro il nazifascismo, alla solenne commemorazione sulla Piazza Rossa della vittoria sulla Germania nazista, corrisponderà a Bruxelles il ricordo dell’invocazione europeista di Schuman, e la pubblicazione dei risultati della ‘Conferenza sul futuro dell’Europa’ destinata a colmare il ‘deficit democratico’ di cui continua a soffrire l’impresa comune.

Un deficit che si manifesta in modo eminente in Italia. Arroccata anche questa volta sulle sue solite posizioni di ‘non belligeranza attiva’, che ci hanno inizialmente contraddistinto nel primo e nel secondo conflitto intereuropeo, sempre al traino delle iniziative altrui,

In un teatro europeo e globale in radicale evoluzione, dovremo finalmente deciderci a trovare la nostra collocazione. In particolare rispetto a Francia e Germania che, nella loro funzione trainante, del contributo dell’Italia avrebbero più che mai bisogno.

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