“Che cosa durerà più a lungo: la resistenza … o l’assassinio organizzato? Le cose si sono messe in modo da escludere ogni compromesso… Preferiscono restare predoni di un deserto o, per meglio dire, di un cimitero, piuttosto che rinunziare a una colonia” (Montanelli, testimone nella Budapest del 1956).
Siamo in effetti oggi tornati, repentinamente, ad una riedizione della ‘dottrina Brezhnev’ della ‘sovranità limitata’, alla spartizione continentale di Yalta, alla Guerra fredda. La coabitazione europea, che nel 1975 ad Helsinki Brezhnev stesso si rassegnò ad accettare, ne è sconvolta.
Sulla situazione in Ucraina, non c’è più nulla da dire che non sia già stato detto, giorno dopo giorno, nella quotidiana drammatica ripetizione di avvenimenti indecifrabili tanto nelle loro motivazioni quanto nel loro scopo. Impossibile è ricavarne alcunché a fini politici o diplomatici, giacché quel che accade è razionalmente inconcepibile.
Non siamo in presenza della ‘fine della Storia’, come credevamo di essere alla caduta del Muro, bensì di un drammatico riavvolgimento di oltre settant’anni di storia europea, con l’aggravante delle ripercussioni che ne risultano a livello globale.
Stiamo peraltro constatando quanto il ‘potere dei senza potere’ esaltato da Havel, dopo aver emancipato le nazioni dell’Est europeo dal dominio sovietico, difende ora in Ucraina le sue conquiste, facendosi popolo in armi contro la potenza militare alla quale Mosca continua invece a ricorrere.
Che l’Occidente si autoflagelli è una reazione normale: si sarebbe potuto, forse dovuto, fare di più e meglio per evitare o prevenire quel che sta accadendo. Assolutamente incomprensibile è che la Russia ne tragga motivo per massacrare deliberatamente quella popolazione civile.
Ci siamo purtroppo resi conto di quanto, nell’Europa centrale, nell’indefinibile Mitteleuropa, la fine della guerra altro non fu che un armistizio, per la riluttanza della Russia a lasciarsi coinvolgere nella reintegrazione del continente. Il problema di fondo, riemerso in Ucraina in tutta la sua tragicità, è la sua incapacità di adeguarsi al sistema collaborativo internazionale indicato dalla Carta delle Nazioni Unite. La contrapposizione ideologica fra comunismo e capitalismo ne fu la maschera; la ‘nuova Russia’, invocata anche da Gorbaciov, fatica a trovarne un’altra. Putin vi ha palesemente rinunciato.
Le ‘guerre ibride’, fatte di infiltrazioni indirette piuttosto che di diretti confronti, che sembravano doversi affermare con l’adozione di strumenti tecnologici invece che militari, sono state spazzate via. Precluse è ormai anche la possibilità di coinvolgere Mosca in un impegno convergente in altre aree di crisi. Per tornare ad essere un valido interlocutore, la Russia deve dimostrare di voler essere parte della soluzione, invece che ostinarsi a provocarle o tentare di sfruttarle.
Il buco nero in cui Putin si è cacciato rischia pertanto di trascinare con sé non soltanto l’incastellatura di sicurezza europea ma, per estensione, l’intero sistema dei rapporti internazionali indicato dalla Carta delle Nazioni Unite. La cui funzionalità, sempre avversata dal comportamento di Mosca, i recenti avvenimenti hanno paradossalmente confermato.
In un’intervista televisiva del giugno 2018 (quattro anni dopo l’occupazione del Donbass e l’annessione della Crimea!), Putin ebbe a dire: “Non è nostra intenzione di dividere l’Europa. Al contrario, vogliamo vedere un’Europa unita e prospera, perché l’Unione europea è il nostro maggior partner commerciale ed economico. Maggiori i problemi nel suo ambito, maggiori si riveleranno i rischi e le incertezze per noi”. Brandelli retorici ai quali ricorre anche oggi il portavoce di Putin, Dmitri Peskov: “l’Europa, nostra casa comune, sarebbe più stabile e sicura se l’Occidente non fosse ossessionato dall’idea di sottomettere la Russia”!
“Ma come possono i russi non capire – scriveva il grande Arrigo Levi nel 2009, un anno dopo la guerra in Georgia -– che, dopo l’implosione del potere sovietico, proprio l’adesione di alcune repubbliche ex sovietiche e di alcuni ex satelliti dell’URSS all’unione europea o alla NATO, con le rigide regole di comportamento che ciò comporta, ha creato condizioni di assoluta sicurezza per la Russia, mai conosciute prima nella Storia, alle sue frontiere occidentali? La NATO e l’Unione europea sono per la Russia non minacce ma garanzie di pace. (Anche se, da parte occidentale, sarebbe forse utile un po’ più di prudenza)”.
Invece che ponte, l’Ucraina è diventata fossato. Ricordandoci il senso tragico della Storia.