Ci siamo a lungo chiesti a che cosa servano le Nazioni Unite. Lo abbiamo scoperto in questi giorni, dopo il veto russo che ha paralizzato il Consiglio di Sicurezza, con il voto dei due terzi dell’Assemblea Generale che, registrando l’avvenuta aggressione, ha ingiunto a Mosca di “arrestarsi e ritirarsi”.
Un risultato poco determinante sul piano pratico, ma indicativo del sussulto della coscienza di più di due terzi della comunità mondiale nei confronti di un avvenimento che minaccia l’intero sistema dei rapporti internazionali. La Russia ha raccolto la misera messe di Bielorussia, Nord Corea, Siria ed Eritrea; mentre l’astensione di Cina, India, paesi arabi e altri rappresentanti del residuo ‘terzo mondo’, più che indifferenza, rappresenta la loro riluttanza a lasciarsi coinvolgere in una questione che riguarda gli equilibri continentali europei. Per ora.
In proposito, Mosca aveva inizialmente espresso l’esigenza di stabilire un’architettura di sicurezza europea giuridicamente vincolante. Cammin facendo, l’autocrate del Cremlino ha poi alterato le ragioni del suo comportamento: dalla necessità di un’operazione speciale di ’peacekeeping’ in difesa dei russofoni nel Donbass, all’affermazione che la nazione ucraina non esiste, all’estrema imputazione alla NATO, scarsamente documentabile, di voler minacciare la Russia.
Ignorando il flusso della Storia, isolandosi dall’evoluzione del mondo circostante, l’autocrate del Cremlino si è infilato contromano in una strada senza uscita dalla quale gli sarà ora difficile fare marcia indietro. E dalla quale sarà difficile estrarla, a meno che, come accadde dopo la crisi di Cuba e dopo il ritiro dall’Afghanistan, il potere in Russia si disintegri dall’interno.
Un’eventualità che dipenderà non dalle manifestazioni di piazza della popolazione civile, bensì semmai dalla reazione degli oligarchi direttamente colpiti dalle sanzioni o, meglio, da un Esercito esasperato dall’ennesima missione impossibile.
Il problema è che la Federazione russa è oggi retta, non più dalla collegialità di un Politburo dei tempi dell’Unione sovietica, bensì da meccanismi decisionali imbarazzanti che le riunioni televisive del Consiglio di sicurezza hanno chiaramente evidenziato.
Per l’Occidente le sanzioni rimangono l’unica alternativa alla guerra, previste come sono proprio a tal fine dalla Carta delle Nazioni Unite (art. 41). Sono servite peraltro anche a cementare la NATO, l’Unione europea, gli stessi schieramenti politici nazionali. Persino la Turchia pare intenzionata a reintegrare l’Alleanza atlantica, nel chiudere Stretti ai sensi della Convenzione di Montreux. Meglio tardi che mai.
Per bocca del suo Parlamento, l’Unione europea si è dichiarata disposta a considerare l’adesione dell’Ucraina (estendendo la prospettiva anche a Georgia e Moldova). Fu proprio quel progetto di associazione all’Europa, non l’allargamento della NATO, che nel 2014 determinò l’irrigidimento di Mosca. Si va pertanto verificando un ritorno alle condizioni di partenza dopo la fine della Guerra fredda, con una Russia politicamente indebolita e un Occidente rinfrancato. Un passo indietro, purtroppo.
Andrà quindi scongiurato un ritorno al bipolarismo. Importante per il momento è che l’Unione europea abbia ritrovato le ragioni della sua esistenza, che le potenzialità dell’Atto Finale di Helsinki siano state riscoperte, e che, alle Nazioni Unite, il comportamento della Russia sia stato inequivocabilmente denunciato.
Si può inoltre ritenere che la Russia abbia ora da temere piuttosto di finire nelle grinfie della Cina, ben più consistenti di quelle, presunte, dell’Occidente.