L’inconcepibile è avvenuto. Ancora una volta umiliata, la diplomazia non può che riflettere sui limiti del proprio operato. Ma anche sulla natura, indipendentemente dalle intenzioni, del regime russo e sulle conseguenze del suo operato sulla stabilità dell’intero continente.
Richelieu, che se ne intendeva, diceva che “negoziare continuamente, ovunque, apertamente o segretamente, è cosa assolutamente necessaria per il bene degli Stati”. In tal senso, il compito principale della diplomazia è sempre stato di trovare l’interlocutore essenziale, all’intersezione dei processi decisionali dello Stato in questione, e convincerlo dell’utilità di una soluzione reciprocamente, seppur parzialmente, soddisfacente.
Un’impresa che con la Russia si è sempre rivelata defatigante e sterile, come ebbero a scoprire Kennan e Acheson nell’immediato dopoguerra, e ha poi potuto continuare a constatare chiunque abbia avuto a che fare con Mosca.
Il fatto è che, con le sole eccezioni dei negoziati sul disarmo, di quelli hanno condotto all’Atto Finale di Helsinki e del periodo di ‘perestroika’ di Gorbaciov, la diplomazia di Mosca non ha mai condiviso il loro scopo.
Il dramma al quale stiamo ora assistendo è che l’Europa, dopo aver per secoli fatto la Storia, continua a dilaniarsi, con le ripercussioni che ne conseguono per l’intero assetto globale. Dobbiamo dedurne che, nel nostro continente, il rapporto Est-Ovest rimane insuperabile?
Eppure, se l’Europa non può fare a meno del fattivo contributo della Russia, lei stessa non può prescindere dalla stabilità degli assetti continentali. Invece se ne astrae, rivendicando apertamente una sua natura ‘euro-asiatica’. Il che dovrebbe testimoniare quanto, contrariamente a quel che si sostiene, l’orso russo tema ancora le mire del dragone cinese sulla propria immensa appendice orientale.
Con l’Oriente, la Russia continua comunque a condividere molte caratteristiche, dalla mentalità bizantina della Chiesa ortodossa alla stessa liturgia del potere. Come dimostrato dalla scenografia delle riunioni di governo, dal fatto che lo sperimentato Ministro degli esteri sia stato visibilmente costretto a leggere testi preconfezionati, che il responsabile dei Servizi segreti sia stato pubblicamente redarguito dal capo supremo.
Negli ultimi tempi, novello Zar, distante non soltanto dal mondo esterno ma dai suoi stessi collaboratori, Putin non era sembrato poter più rappresentare quell’interlocutore affidabile senza il quale la diplomazia non può operare.
Ci si chiede peraltro quanto Putin si sia isolato dal suo stesso ‘cerchio magico’. Quanto, specie dopo l’inverosimile decisone di invadere l’Ucraina, la sua evidente paranoia possa averlo reso vulnerabile nelle segrete del Cremlino; al pari della crisi di Cuba per Krusciov e delle intemperanze etiliche di Eltsin.
Dal canto suo, assimilate le ripetute lezioni del passato, l’Occidente non è comunque più disposto a ricorrere agli strumenti bellici, affidandosi invece alle sanzioni che conseguono all’auto-isolamento della Russia.
Contribuendo anch’esse a renderci conto anche, forse soprattutto, in Italia della realtà che ci circonda.