Falsi movimenti e fate Morgana della scuola

di 21 Febbraio 2022

L’articolo di Andrea Gavosto, uscito su “Repubblica” del 21 febbraio, ha il non piccolo merito di porre al centro di qualsivoglia riforma della scuola a venire la questione dei docenti, che per Gavosto si sintetizza in tre decisivi problemi: carriere, formazione in servizio, livello retributivo adeguato. Come dire gran parte di ciò su cui il dibattito politico, da decenni, si è arenato, segnando falsi movimenti (partenze rapide a cui sono seguite altrettanto rapide ritirate) o soluzioni da fata Morgana, in conseguenza delle quali l’esito raggiunto si è tante volte rivelato un’illusoria visione svanita alla prova dei fatti.

Si pensi, per fare un esempio del primo caso, al tentativo (fallimentare) di Luigi Berlinguer, ministro dell’Istruzione già nel primo governo Prodi, di introdurre premialità per i docenti (e non spiccioli, circa 350 euro in più al mese), legate al merito, velocemente naufragato dinanzi all’opposizione di più parti (inclusa quella di una parte degli insegnanti). Oppure (e siamo al secondo caso) dell’introduzione nelle scuole delle cosiddette “funzioni strumentali”, vere e proprie “figure di staff”, come dicono coloro che non rinunciano al linguaggio aziendale, con compiti aggiuntivi di supporto nella didattica e nella gestione degli istituti scolastici e però retribuite, come salario accessorio, con compensi così inconsistenti da sfiorare l’irrilevanza. 

E già da questo si vede come quei tre decisivi problemi (carriere, formazione in servizio e livelli retributivi) non solo siano, singolarmente presi, fondamentali, ma rivelino anche una tale reciproca connessione da farne uno snodo sistematico dell’intera architettura dell’universo dell’istruzione. Intanto, dal punto di vista della carriera il nostro è un Paese in cui chi entra insegnante, a meno che non voglia fare il concorso per Dirigente Scolastico, esce insegnante, con le medesime funzioni e gli stessi compiti e adeguamenti retributivi dovuti solo agli scatti automatici di anzianità.

Del livello delle retribuzioni, poi, sarebbe meglio tacere, non solo perché il confronto con l’Europa, alla quale in mille altri casi ci appelliamo come metro di misura della qualità della nostra vita pubblica, è del tutto impietoso, ma pure a considerare in sé tale livello, certamente non degno di professionisti dell’istruzione, non meno professionisti dei laureati di altri settori quale quello della sanità. Quanto alla formazione in servizio, chiunque abbia una conoscenza minima del sistema scolastico italiano può giudicare sulla riuscita degli sforzi sinora compiuti.

Sul perché si tratti di uno snodo di “sistema”, infine, forse basterebbe riflettere su una “verità” di lampante evidenza e ripetuta a iosa, ma senza particolari ricadute effettuali. Infatti, che la buona scuola la facciano i bravi docenti (e ciascuno dica se senza formazione continua, possibilità di carriera e stipendi adeguati si possa essere buoni insegnanti) sembra ormai avere la stessa forza di un luogo comune che non varrebbe la pena ripetere ancora. Se non per auspicare una consapevolezza in materia che non sia soltanto acquisizione teorica e cerchi, alla buonora, di trasformarsi in risultato. 

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